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Durant e Warriors, il momento giusto

Durant e Warriors, il momento giusto

Redazione

21 giugno 2016

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L'hanno vinto i Cleveland Cavaliers o l'hanno perso i Golden State Warriors? Dopo le emozioni delle finali NBA e la celebrazione di LeBron James la domanda è legittima, visto che Golden State nella stagione regolare ha stabilito un record (73-9) che rimarrà per decenni, superando i Bulls 1995-96 di Jordan ma soprattutto lo scetticismo nei confronti di una squadra secondo gli esperti troppo estrema e troppo leggera per reggere la pallacanestro di questi tempi. E averli vinti, i playoff, l'anno scorso, non era bastato. Nel dopo garasette Steve Kerr ha detto diverse cose interessanti, in particolare che il record era soprattutto la squadra a volerlo e che questo inseguimento ossessivo ha tolto un po' di energie fisiche ma soprattutto il 'focus' (Kerr ha usato proprio questo termine) sulla propria identità, sulle cose da migliorare e sui veri obbiettivi. L'allenatore di Golden State, in due stagioni un titolo e una finale, ha identificato nella partita con i derelitti Lakers, il 6 marzo scorso, l'inizio di qualcosa che non gli è piaciuto e che ha subito definito 'slippage' (slittamento). L'enfasi sugli aspetti storici della squadra, perché davvero in una squadra da titolo un gioco simile non si era mai visto, ha tolto concentrazione al presente? Sarà vero, ma tutto suona un po' come senno di poi, perché senza andare alla garacinque saltata da Green e alle ultime due da Bogut, alle percentuali inferiori di Curry e Thompson o all'infortunio di Iguodala, sarebbe bastato un Barnes (cioè il giocatore che deve punire gli avversari quando mettono troppa pressione sugli Splash Brothers, insieme 12 su 36 in garasette) decente per rivincere il titolo. L'analisi deve riguardare anche la difesa, che nel corso degli ultimi mesi ha perso continuità ed è diventata, pur mantenendo i suoi principi di base, una difesa NBA come tante altre, di quelle che si accendono o si spengono a seconda dei momenti della partita. Così sull'attacco è caduta troppa pressione anche se, bisogna ricordarlo, nonostante nessun Warrior abbia giocato una grande finale, la squadra ha perso di 4 punti in garasette contro un'altra squadra piena di stelle. E adesso? Gli Warriors dovrebbero rimanere praticamente uguali, a meno di non mettere le mani sul Kevin Durant della situazione. Un nome che non abbiamo buttato lì a caso, perché KD è libero e sta valutando il contratto quinquennale che gli hanno proposto i Thunder: accettare le offerte di una squadra che quest'anno si è dimostrata da titolo (battuti gli Spurs e poi sconfitta con gli Warriors soltanto in garasette) e dove è l'uomo franchigia, oppure entrare in un progetto stellare in California? Un secondo titolo consecutivo per Curry e compagni lo avrebbe probabilmente indotto a restare o a cercare altre soluzioni (sul piano tecnico sarebbero proprio gli Spurs a diventare perfetti con lui), la vittoria di LBJ invece potrebbe spingerlo verso Golden State. La panchina, chiave del record e di tanti successi, è molto buona ma necessita di un lungo cestisticamente più acculturato di Ezeli: comunque non è certo da rivoluzionare. Il fisico, soprattutto quello di Curry, va invece ristrutturato in un'estate di riposo (e per lui sicuramente non olimpica). Questa squadra è già nella storia del basket e guardando le date di nascita ha in canna tranquillamente altri tre titoli. Con o senza Durant.

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