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Italia, storia di un fallimento preolimpico

Italia, storia di un fallimento preolimpico

Redazione

11 luglio 2016

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Il fallimento dell'Italia nel torneo preolimpico di Torino merita un'analisi a freddo, che vada al di là dell'enorme delusione per un risultato inferiore al potenziale della mostra pallacanestro. Che non è stata uccisa da Saric e compagni, ma di certo ha perso una vetrina unica al mondo. Prima di tutto il fallimento è il fallimento dell'operazione Messina, prima ancora ancora che di Ettore Messina come allenatore. Si può anche entrare in discorsi politico-sportivi, perché agli occhi di Petrucci il vero problema con Pianigiani non era il gioco ma il fatto che Pianigiani non fosse stato scelto da lui, però è più interessante parlare prima di ciò che si è visto in campo nelle due partite vere del torneo, cioè quelle contro la Croazia. In certi frangenti una difesa davvero alla Messina, con aiuti puntuali, avversari costretti a soluzioni individualistiche ed esaltazione di alcune marcature singole (in particolare Hackett su Bogdanovic). Anche una minore sofferenza sui pick and roll centrali, rispetto all'era Pianigiani. L'attacco è invece stato del tutto inaccettabile, a prescindere dall'esito di una finale che comunque abbiamo perso al supplementare e non di trenta punti, contro una squadra del nostro rango (come del resto era la deludente Grecia). Circolazione pessima, per l'assenza di un vero playmaker ma anche di gerarchie, con soluzioni estemporanee (pensiamo soprattutto a Belinelli), forzature, cattive percentuali anche su tiri ben costruiti. Poco il tempo a disposizione di Messina, è vero, ma Aco Petrovic non ne ha avuto molto di più ed infatti anche la sua Croazia era da lavori in corso. Dal gioco ai giocatori il passo è breve. La mancata partecipazione ai Giochi di Rio è un macigno sulla credibilità della nostra generazione NBA. A Tokyo 2020 Bargnani avrà 35 anni, Belinelli 34, Gallinari 32. Saranno insomma vicini al capolinea. Detto che i giocatori NBA li hanno ormai tutti, bisogna anche definire di quale NBA si tratti. Quella da comprimari di Belinelli e Bargnani e quella da protagonisti in squadre perdenti di Gallinari. Una NBA in cui chi ha talento, come appunto i tre azzurri, può ritagliarsi spazio e buone statistiche, ma senza fare la storia di una squadra da titolo (Belinelli con gli Spurs ci è passato, ma da riserva) né gestire palloni davvero pesanti. Va detto che anche chi in Europa questi palloni pesanti li gestisce, come Datome e Gentile, non ha disputato un gran torneo e quindi ogni spiegazione suona come una giustificazione a partire dal risultato finale, in puro stile calcistico. Vogliamo andare controcorrente, nonostante l'evidenza degli ultimi anni, per non dire dell'ultimo decennio: come talento puro questa generazione è probabilmente la migliore che abbiamo mai avuto (forse l'unica considerazione condivisibile fra quelle fatte da Petrucci), assurdo trattare come cani giocatori fino a una settimana fa pompati e osannati, ma il talento da solo non basta. Isolamenti e tiri da tre con tuffo carpiato strappano ooohhh di meraviglia a chi guarda solo gli highlights, ma sono pallacanestro quando rappresentano variazioni sul tema e non l'unica possibilità. Nelle partite senza domani ci vogliono caratteristiche che i nostri giocatori chiave non hanno, pur avendo anche i più deludenti dato tutto ciò che avevano in corpo. Su questi Giochi la federazione e Petrucci avevano investito tutta la loro residua credibilità. Con un notevole sforzo economico, due milioni di euro e passa, per ospitare il preolimpico che dal punto di vista del pubblico è stato un successo (e pazienza per la quasi mezz'ora di tabellone rotto, roba da strapaese). Con un notevole sforzo anche politico, visto che sull'altare dei rapporti con la FIBA Petrucci ha sacrificato il doveroso sostegno a Reggio Emilia, Trento e  Sassari, con l'aggiunta di Cantù, nella vicenda Eurocup che è tuttora sub judice e che di sicuro spaccherà la Lega. Far dipendere il giudizio su una presidenza dal risultato della nazionale è semplicistico, ma è stato proprio Petrucci ad avere imboccato questa via. Invece di dare le dimissioni è probabile che cerchi di nascondersi dietro Il totem Messina, che però ha un altro anno di assistentato agli Spurs e deve scegliere se puntare su una futura chance NBA o sulla Nazionale che ripartirà dagli Europei 2017 senza molti dei suoi elementi attuali. A dirla tutta, a 57 anni Messina sembra da qualche stagione avere ormai dato il meglio e forse c'è più bisogno di lui come parafulmini indiscutibile che come allenatore da palestra. Non una decisione da prendere in due minuti, ma senz'altro una decisione da prendere senza equivoci. Per il suo passato azzurro e per il rispetto che incute ai giocatori un nome spendibile sarebbe Meo Sacchetti, oltre a Sacripanti e Trinchieri, ma purtroppo avremo molto tempo per riparlarne mentre a Rio giocheranno altri che magari si metteranno al collo una medaglia che per un'Italia qualificata non sarebbe stata fantabasket. Twitter @StefanoOlivari

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