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Reyer Venezia, lo scudetto della panchina lunga

Reyer Venezia, lo scudetto della panchina lunga

Redazione

22 giugno 2017

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Si è conclusa con la vittoria dell’Umana Venezia la stagione di serie A di basket 2016/2017. Lo scudetto quindi torna in laguna dove mancava dal 1943 quando la Reyer, imponendosi sulla Virtus Bologna, bissò il titolo vinto l’anno prima sulla Parioli Mussolini Roma. All’epoca i playoff non erano ancora stati introdotti e la Reyer giocava alla Scuola Nuova della Misericordia (da poco restaurata, per chi capita da quelle parti, magari con un pallone da basket nello zaino, a provare se sotto la protezione del pavimento si sente ancora il rumore del parquet, prima di farsi cacciare via). Il titolo numero 3 (ce ne sarebbe un altro, nel 1944, ma non fu non omologato a causa di un ricorso presentato dalla Ginnastica Triestina seconda in classifica, per un minuto non recuperato, in una partita persa 25 a 23) è arrivato al termine di una serie molto combattuta, appassionante ma non bella. 6 gare, per un 4 a 2 che ha premiato la squadra favorita, in un confronto che vedeva da una parte un roster di buon livello, ben assortito, con una panchina lunga al punto che spesso sembrava che il coach non riuscisse a vederla tutta, e dall’altra una squadra tecnicamente meno forte, ma più agguerrita (o affamata come ha detto coach Buscaglia), e anche perseguitata dalla sfortuna. La Reyer è rimasta aggrappata per tutta la serie al tiro da 3, avendo delle percentuali da serie A solo in gara 6, ma vincendo, proprio grazie a un tiro da 3, gara 5 che è risultata poi determinante, per morale e logoramento degli avversari, nella vittoria del titolo. Una serie a senso unico quindi, dove a tratti si sono accese delle individualità (Ejim in gara 6, McGee in pochi minuti in gara 5, Stone in gara 3, Haynes in gara 2, assieme a Batista) che, nella mediocrità del gioco visto in campo, sono risultate determinanti. Trento ha fatto quel che ha potuto, mischiando le carte in difesa, per mancanza di forze fresche, e aggrappandosi alla voglia di vincere di una squadra dalla panchina troppo corta, per una serie playoff al meglio delle 5 e poi delle 7 partite (e meno male che dall’anno prossimo arriva la riforma!). L’infortunio di Sutton ha sicuramente segnato la serie, ma non si può dare la colpa alla sfortuna: i meriti di chi vince stanno anche nell’avere un roster adeguato alla competizione. Cosa che Trento, per numero, sicuramente non aveva. Così i tuffi di Craft o le giocate di Gomes, così come l’eroico recupero di Sutton, hanno infiammato i cuori dei tifosi, ma alla lunga poco hanno potuto contro l’infinita panchina della Reyer. A mancare quindi è stato lo spettacolo, di una serie A figlia di una di una Lega fatta di società povere di mezzi ma ricche (forse) di idee, un po’ come si diceva dell’Italia del dopoguerra. Una serie A che adesso dovrà dotarsi di nuovi impianti, per essere più televisiva, mentre i nuovi regolamenti che si profilano all’orizzonte, manifestano l’intenzione di riportare in A le piazze storiche della pallacanestro italiana che, come detto più volte, faticano in A2 a tirare fuori una squadra per salvarsi. A ben vedere però, lo scudetto 2017 è cucito sulle maglie della squadra che ai playoff si è presentata con uno degli impianti sportivi meno capienti del gruppo (il Taliercio è secondo in questa classifica solo al Palafantozzi di Capo d’Orlando, che può far accomodare uno spettatore in meno dei veneti). 3.509 posti a sedere in una fornace (ma perché l’ufficio marketing della Reyer non ha mai pensato a un ventaglio per i fan?) che, in tempi lontani dalle lotte per lo scudetto, faticava a essere riempita, nonostante i biglietti omaggio distribuiti (e anche quest’anno, per le partite della Champions League, si stava belli larghi). La FIP poi dovrebbe ricordare che la minaccia di radiazione, prima, e il divieto partecipare all’Eurocup poi, hanno pesantemente condizionato il budget e quindi il mercato di Trento che, con gli introiti di una coppa partecipando alla quale si era tolta lo sfizio di eliminare Milano ai quarti, forse sarebbe stato più ricco. Per il futuro Brugnaro parla di un nuovo impianto, da costruire in terraferma con il permesso del Sindaco (che è sempre lui), su un terreno di sua proprietà: si farà? De Raffaele deve mantenere la promessa di tuffarsi nel Canal Grande e si augura che non sia l’ultima volta che questo accade. Nel mentre c’è da pensare alla squadra del prossimo anno tra partenze e conferme, con un occhio anche al mercato dei competitor.

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