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I Cleveland Cavs hanno stupito la NBA rivoluzionando la squadra a stagione in corso, lasciando partire Wade, Rose e addirittura Thomas, cioè il colpo della stessa estate. Ma così almeno proveranno a giocarsi la quarta finale con gli Warriors mettendo nelle migliori condizioni possibili il loro fenomeno...
La fine del mercato NBA ha sconvolto la lega come quasi mai era avvenuto in passato a stagione in corso, per molti motivi ma fondamentalmente per una domanda: i Cleveland Cavs di LeBron James esistono ancora o si sono dissolti per colpa di una gestione incomprensibile? Domanda che sorge spontanea dopo la megaoperazione che ha portato ai Lakers il colpo dell’estate di Cleveland, Isaiah Thomas, e smantellato (6 partenze in totale, più due scelte al draft fra cui la prima del 2018) una squadra evidentemente male assemblata in estate. Vista la qualità degli arrivi, da Hill a Nance, da Hood a Clarkson, si tratta della mitica ‘scossa’, come ha ammesso lo stesso James, per invertire la tendenza di una stagione da terzo posto, se andrà bene, nella Eastern Conference, a distanza notevolissima da Boston e Toronto.
La caratteristiche tecniche e fisiche dei nuovi arrivati dicono che questa più che mai sarà la squadra di LeBron, un po’ come quella della sua prima vita ai Cavs. Nonostante da molti cultori della NBA, oltre che dalla NBA stessa, venga venduta l’immagine di dirigenti con programmazione pluriennale e che non vanno giudicati per l’oggi, il risultato di tanta genialità è che della cessione di Kyrie Irving ai Celtics non è in sostanza rimasto niente. Costruire una squadra di supergregari intorno al migliore della lega, nonché fra i migliori di sempre, da parte del general manager Koby Altman è comunque una mossa comprensibile per il finale di stagione visto che Thomas, peraltro arrivato infortunato, non si è mai integrato tirando molto sotto il suo standard e rimpiangendo Boston in quasi ogni intervista.
Mossa meno comprensibile per il futuro, visto che già a luglio James potrà liberarsi del contratto e chiudere la carriera (ha pur sempre 33 anni) in un’altra squadra da titolo e in una città molto più mediatizzata. Magari Los Angeles, versione Lakers. Nome buttato lì non a caso, perché Magic Johnson e il resto della dirigenza hanno operato in modo da poter inseguire in estate due superstelle al massimo salariale. Merito dei contratti in scadenza, fra cui quello dello stesso Thomas, di tanto talento giovane su cui costruire e della mancanza di un ras dello spogliatoio come poteva esserlo il Kobe della situazione, anche quando era al lumicino.
Ma tornando all’oggi bisogna dire che Cleveland ha fatto una mossa, disperata finché si vuole ma pur sempre una mossa, per giocarsi la quarta finale di fila contro i Golden State Warriors, che di loro a stagione in corso non hanno toccato nemmeno l’aiuto-massaggiatore. Al di là della ‘decision’ di LeBron, hanno dato alla loro stella discreti difensori e migliori atleti, togliendogli di torno equivoci come Thomas, l’amico Wade tornato a svernare a Miami e i resti di Derrick Rose, oltre a Crowder, Frye e Shumpert. Per come stavano giocando, o meglio non giocando, l’unica perdita importante in chiave playoff sembra quella di Frye. L’idea lebroniana, a meno che Lue abbia preso in mano la situazione, è che al di là dei nomi non ci debbano essere troppo giocatori con atteggiamento negativo o battezzabili dalle difese, che così possono aspettare James al varco. Idea che ha comunicato negli ultimi tempi omettendo di difendere, un po’ come gli altri.
Insomma, i discorsi sul futuro sono un po’ da ragionieri visto che alla fine il vero problema è la struttura salariale (secondo payroll della lega e 137 milioni di dollari già impegnati per la prossima stagione, quando il salary cap sarà di 101), ma quelli sul presente e sulla pallacanestro ci fanno dire che un quintetto LeBron-Love-Hill-Hood-Korver potrebbe essere indigesto anche per gli Warriors di lusso. Senza dimenticare la scheggia impazzita, per quanto strapagata, J.R. Smith, e il fisico di Tristan Thompson e Nance quando serve. Quindi? Forse a Cleveland non stanno seguendo il Festival di Baglioni, ma anche nella NBA la vita è adesso. E dare la squadra totalmente in mano a LeBron James, dopo il fallimento del presunto progetto, non è una cattiva idea.
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