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Guerin Basket sulla Serie A di John Brown III, il fallimento dei Lakers ed il ritorno dei centri che segnano.
Nel derby d’Italia riferito alla pallacanestro la Virtus Bologna ha distrutto un’Olimpia che molte assenze ma anche con in campo dieci giocatori veri, che sono sembrati scarichi anche se diversi di loro non è che abbiano di solito un grande spazio: nella squadra di Messina si sono salvati soltanto Melli, Hines e Baladasso, mentre quella di Scariolo, priva di Belinelli e con Mannion panchinato fisso, ha avuto uno Jaiteh dominatore sotto i tabelloni, con Weems e Cordinier chirugici. Ai playoff la musica è sempre un’altra, ma intanto la Virtus si è guadagnata il fattore campo nella serie finale che tutti aspettano, mentre l’Olimpia rischia di perderlo anche in semifinale, visto che Brescia è a una vittoria di distanza (con una partita in più, però) ed adesso, con il colpo di John Brown III, che torna in Italia dopo avere rescisso il contratto con l’Unics Kazan, dimostra di pensare davvero in grande. Il lungo visto e stravisto a Roma, Treviso e Brindisi nella Serie A di oggi può spostare gli equilibri, anche se pensare un’Olimpia al completo rimane per la squadra di Magro un altro pianeta. Ancora indecifrabile a 5, per qualcuno 6, giornate dalla fine della stagione regolare, l’ammucchiata che di fatto occupa lo spazio dal quarto al quattordicesimo (!) posto, mentre le due designate per la A2 sono sempre più chiaramente Fortitudo Bologna e Cremona, cadute con Venezia e Tortona.
La stagione regolare NBA è finita e non ci sono dubbi sul fallimento dell’anno: è quello dei Los Angeles Lakers, che non sono riusciti nemmeno a qualificarsi per i play-in, cioè non sono nemmeno nei primi 10 (su 15…) della Western Conference. A pagare è stato l’allenatore Frank Vogel, come accade di solito, ma il fallimento è stato soprattutto di LeBron James. Non come giocatore, perché a tratti anche a 37 anni e mezzo LBJ ha giocato una pallacanestro eccezionale, ma come direttore sportivo ombra. Così i Lakers da squadra lebroniana, costruita intorno a lui e ad altre poche (Davis) stelle, si sono trasformati in un Dream Team di vecchie glorie mangiapalloni, con Westbrook ed Anthony, senza contare i ritorni di Howard, Bradley, Ariza ed altre operazioni cervellotiche, che hanno sacrificato i gregari (dolorosa la perdita di Caruso) e l’arrivo di campioni ancora vivi come DeRozan.
Joel Embiid ha chiuso la stagione, in attesa dei playoff che i suoi Sixers giocano con l’ambizione di arrivare fino in fondo, con il titolo di capocannoniere a 30,6 punti di media. Non una cosa banale, ma una performance che ha riportato la NBA dietro di 40 anni: era infatt dal 1981-82 che un centro non chiudeva con più di 30 punti di media, ai tempi fu Moses Malone all’ultima stagione con i Rockets. Nel frattempo il gioco è molto cambiato, è vero, ma ci sono lo stesso stati centri con grande produzione offensiva, da David Robinson a Tim Duncan, Da Shaq a Olajuwon, da Ewing ad altri, però nessuno aveva raggiunto i livelli di Embiid. Una buona notizia per chi ama una pallacanestro equlibrata e non il tiro a segno di cattivi imitatori degli Warriors.
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