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FILE: NBA Hall Of Famer Dikembe Mutombo Dies Of Brain Cancer At Age 58

?FILE - SEPTEMBER 30, 2024: It was reported that Dikembe Mutombo died of brain cancer at the age of 58 on September 30, 2024. SAITAMA, JAPAN - OCTOBER 02: Former NBA Player, Dikembe Mutombo attends the Washington Wizards v Golden State Warriors - NBA Japan Games at Saitama Super Arena on October 02, 2022 in Saitama, Japan.  NOTE TO USER: User expressly acknowledges and agrees that, by downloading and or using this Photograph, user is consenting to the terms and conditions of the Getty Images License Agreement.    (Photo by Takashi Aoyama/Getty Images)© Getty Images

La casa di Mutombo

L'Africa nella NBA, la A2 a girone unico, le due epoche di Kurtinaitis e Moraschini come Sinner

21 ore fa

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Con Dikembe Mutombo se ne va, a soli 58 anni di età, non soltanto uno dei personaggi di culto della pallacanestro anni Novanta ma anche un uomo che ha sempre saputo che la pallacanestro è un mezzo, non un fine. Giocatore intelligente ma grezzo, di sicuro non un artista del parquet, Mutombo era stato un buon difensore e soprattutto un grandissimo stoppatore, nella storia NBA secondo soltanto a Olajuwon. Stoppate seguite dal ditone mostrato all’avversario e dal “Not in my house!” poi utilizzato in tanti spot. Ditone che Mutombo spiegava come risposta allo scherno di cui era stato a volte oggetto, lui ragazzo dello Zaire (per quanto poi passato dalla Georgetown di John Thompson). Gesto iconico che piaceva ai ragazzini e meno ad avversari, in particolare a Michael Jordan che reagiva alla Jordan, e arbitri che a un certo punto iniziarono a sommergerlo di falli tecnici. Oltre ai falli per così dire normali, anche questi poco simpatici (le gomitate soprattutto). Nei Nuggets e negli Hawks gli anni migliori dello zio di Kabengele (ora alla Reyer), anche se poi le sue finali NBA, sia pure perse, le avrebbe giocate con i Sixers di Iverson da protagonista e con i Nets di Jason Kidd da comprimario. Buon giocatore, senza mitizzare il passato, ma personaggio che si staccava dalla massa e che ha contribuito a rendere la NBA un fenomeno globale.

Oltre che della A è iniziata la stagione anche della Serie A2, finalmente tornata al girone unico dopo 10 stagioni di sdoppiamento, unito a formule incomprensibili (la peggiore quella di due anni fa, con due gironi di prima fase e tre di seconda fase, chiamati con cinque colori diversi), che sembravano studiate apposta per non avere spazio sui media. Un bellissimo campionato a 20 squadre, adesso, con almeno 8 giocatori di formazione italiana a referto, e quindi molto simile alla pallacanestro italiana degli anni del boom: la seconda parte dei Settanta, gli Ottanta, i Novanta fino alla sentenza Bosman. Subito una sorpresa nel vecchio-nuovo Palalido (ora si chiama Allianz Cloud) milanese, con l’Urania dei Cremascoli, con Alessandro Gentile volto da copertina e Amato leader in campo, che ha battuto la Fortitudo Bologna fresca della Supercoppa di categoria. Guardando ai roster e agli stranieri, molti tranquillamente da A, fra le favorite per le due promozioni, una diretta vincendo la stagione regolare e l’altra tramite playoff, metteremmo senz’altro la Cantù allenata da Brienza e leggermente dietro Verona, Udine e Fortitudo. Da playoff o quasi realtà come Forlì, Pesaro, Brindisi e Urania.

La A2 non vive quindi soltanto di un grande passato, così come Rimas Kurtinaitis che da poco è stato nominato allenatore della Lituania, a 64 anni. Guardia di altissimo livello fin dai tempi dello Zalgiris Kaunas e dell’Unione Sovietica di Sabonis, con cui fra le altre cose fu campione olimpico nel 1988, e ottimo tecnico, anche se nella breve parentesi italiana nella Cantù di Gerasimenko fu difficile dimostrarlo. Kurtinaitis è un pretesto per ricordare quanto sia difficile per una nazionale, anche con una qualità media enorme come quella lituana, emergere nella pallacanestro europea di oggi. La Lituania ha infatti fallito malamente l’ultima qualificazione olimpica, era con l’Italia di Pozzecco in Porto Rico, non c’era nemmeno a Tokyo, e l’ultimo suo piazzamento fra le prime quattro in una qualsiasi manifestazione risale a Eurobasket 2015. Meglio del ventennio di percorso netto italiano, certo, in ogni caso tutto va parametrato alla concorrenza un po’ diversa rispetto ai tempi del Kurtinaitis giocatore.

Il caso Sinner come quello Moraschini? Le analogie sono molte, al di là del fatto che la vicenda doping del numero 1 ATP non si sia ancora conclusa, dopo il ricorso della WADA al TAS. Il Clostebol, la pomata cicatrizzante, la quantità infinitesimale, la ricostruzione della catena di contaminazione, tutto molto simile: a dirla tutta, quanto accaduto a Moraschini è molto più chiaro, nella dinamica e nella credibilità. Per la trentatreenne guardia, ora a Cantù in A2, la squalifica mentre giocava nell'Olimpia Milano ha significato di fatto la fine di un certo tipo di carriera, se non proprio della carriera. La differenza? Da una parte i media patriottici uniti come un sol uomo, dall'altra Moraschini nelle brevi e scarticato dal suo stesso club. Magari finirà allo stesso modo, ma da una parte almeno c'è stata difesa.

stefano@indiscreto.net

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