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L'ammissione di Silver, la Pistoia di Okorn e i progetti di Antonini
Il clamoroso calo di interesse nei confronti della NBA (si pensi solo alla NBA Cup, 20% di ascolti televisivi in meno rispetto al 2023) viene negato da nerd anziani e giovani, gente che asserisce di guardare 10 partite al giorno, ma non dai dirigenti della NBA stessa, a partire da Adam Silver. Il grande imputato, l’unico di cui la correttezza politica consente di parlare, è l’abuso di tiro da tre punti, con il facile esempio dei Boston Celtics odierni che tirano da tre più di 50 volte a partita, 20 di più degli Warriors al picco del ciclo Curry-Thompson-Green-Durant. Ma è un discorso semplicistico, perché i tiri dei Celtics sono costruiti bene, come lo erano quelli degli Warriors, non siamo insomma alla stella, come può essere il LeBron James o il Doncic della situazione, che gestisce il pallone 20 secondi e poi prova a fare qualcosa. Il malessere è più profondo, proprio a un anno dall’entrata in vigore di un nuovo contratto televisivo che aumentando il salary cap farà strapagare una classe media già strapagata. Forse il format delle 82 partite di stagione regolare, di cui tante inutili anche per quella metà NBA che gioca per vincere, ha fatto il suo tempo e con l’espansione a 32 squadre ormai sicura la logica dice che 62 partite potrebbero bastare, con ingaggi ridimensionati di conseguenza. Forse i continui endorsement a candidati democratici e comunque l’essere anti-trumpiani di quasi tutti i personaggi simbolo della lega (o meglio, di quasi tutti quelli che si espongono) attira le antipatie di quella metà di America pro Trump: a nessun cliente piace farsi insultare dal negoziante. Nostra convinzione è che un grosso problema sia anche l’entrata nella NBA di troppe prime scelte senza una carriera a livello di college, al di là di un anno da freshman: non è soltanto una questione tecnica, ma di marketing e anche di livello culturale del giocatore medio. Discorsi che ci riguardano da vicino, vista l'imminente colonizzazione con bollino FIBA. Di sicuro l'inflazione di partite non aiuta nessun prodotto: se ci sono 100 Maradona allora nessuno è Maradona.
La pallacanestro delle porte girevoli porta a situazioni come quella di Pistoia, dove con 3 partite ancora da disputare nel girone di andata e una situazione di classifica difficile ma non disperata si è già arrivati al quarto allenatore in stagione: dopo Calabria, Della Rosa e Markovski il club mal gestito da Ron Rowan ha ingaggiato Gasper Okorn, dopo lo 0-6 del predecessore. Il coach sloveno ha un ottimo curriculum, soprattutto in patria e in Croazia, di sicuro non conosce l’Italia ma trovare qualcosa di italiano nella Serie A è quasi impossibile: in questo senso allenare a Pistoia è uguale che farlo in qualsiasi altro posto del mondo con squadre di americani sconosciuti al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. Se con i giocatori ormai siamo abituati a tutto, anche a gente ingaggiata per sostituire infortunati che saltano poche partite (mentre scriviamo queste righe Varese ha appena ingaggiato Desonta Bradford, appena tagliato da Piacenza in A2, per tamponare l’assenza di Sykes, già di suo un tappabuchi), con gli allenatori ancora facciamo fatica ad accettare il fenomeno. Per questo i confronti con il passato sono senza senso: nemmeno John Wooden costruirebbe qualcosa trovandosi ogni settimana una squadra diversa.
Valerio Antonini cambierà la pallacanestro italiana? Nell’intervista al direttore del Corriere dello Sport, e del Guerin Sportivo, Ivan Zazzaroni, il patron dei Trapani Shark ha fatto capire di non essere una meteora, anche se in troppi (anche chi fa fatica a pagare gli stipendi) lo trattano ancora come la macchietta del presidente ‘vulcanico’ (così si diceva una volta, in chiave anti-querela), quando non addirittura come un Mimmo Barbaro 2.0. Il modo in cui la sua squadra si è avvicinata alla partita con l’Olimpia Milano dice molto su quanto ci creda, al di là poi del fatto che la partita sia stata persa, con Trapani che è però terza in classifica mentre Milano rischia di non fare la Coppa Italia. Ci sono città delle dimensioni di Trapani (Siena), o anche molto meno (Cantù), che hanno fatto la storia del nostro basket, in teoria quindi i sogni per chi ha soldi e voglia di spenderli sono possibili. Ma con tutto il rispetto per Trapani, intesa anche come calcio, il punto d’arrivo di Antonini è Roma sponda Lazio, con una polisportiva che avrebbe nel calcio e nel basket gli sport trainanti. Uno scenario che si potrebbe materializzare entro un anno e che sarebbe graditissimo a Petrucci, a prescindere dalla figura di Antonini. L’uscita della pallacanestro dalle brevi passa anche per una squadra romana in Serie A, più che da improbabili medaglie della Nazionale.
stefano@indiscreto.net
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