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La NBA dei record, l'Italia di Mamukelashvili e l'ultimo trofeo di Cantù
La notizia del cambio di proprietà dei Boston Celtics fa impressione soprattutto per la cifra record: 6,1 miliardi di dollari quanto avrebbe accettato di pagare Bill Chisholm, creatore di un fondo di private equity (qualsiasi cosa voglia dire) al Boston Basketball Partners, dove è preponderante la famiglia Grousbeck e fra i cui massimi dirigenti c’è Stephen Pagliuca, l’azionista di maggioranza dell’Atalanta, con James Pallotta, proprio l’ex presidente della Roma, fra i soci di minoranza. Al di là delle statistiche e di numeri che stanno esplodendo, una domanda al tempo stesso buona e cattiva è la seguente: quanto costerebbe comprare il Panathinaikos campione di Eurolega, posto che i Giannakopoulos lo volessero vendere? Crediamo pochissimo, visto che in Europa sono in perdita strutturale il grande, il medio e il piccolo basket. Questo è il vero punto debole del bar che tutti noi facciamo sulla NBA europea, più o meno gestita dalla NBA. Mentre oggi viene venduta a 6,1 miliardi una franchigia NBA comprata nel 2002 per 360 milioni.
Il clamoroso record di Aleksandre ‘Sandro’ Mamukelashivili, che grazie anche al 7 su 7 da tre ha ottenuto il maggior numero di punti (34) segnati nella NBA giocando meno di 20 minuti, ha fatto felici i tifosi degli Spurs intristititi per il record della squadra e per le condizioni di Wembanyama, e anche chi l’ha allenato nei suoi tre importantissimi (dai 14 ai 17, se non è ‘formazione’ questa…) anni a Biella. Non stiamo parlando di un fenomeno tenuto ingiustamente in naftalina e scoperto ieri, ma di un buon lungo (ala forte nella pallacanestro di una volta, anche centro in quella di oggi) di complemento che Popovich (o chi per lui, purtroppo) ha sempre preso in considerazione, soprattutto al suo arrivo a San Antonio, e che nella NBA a 10-15 minuti a partita può starci ancora tanti anni. Di sicuro lo statunitense-georgiano è un giocatore più legato alla pallacanestro italiana e all’Italia come paese di altri che sono stati (e purtroppo saranno) pretesto per gite premio della FIP, anche se nel suo caso il passaporto sarebbe proprio un tarocco senza fondamento, tipo Larkin-Turchia o Brown-Spagna.
Anche ricordando bene le due Coppe dei Campioni, i tre scudetti e il tantissimo altro, la Coppa Italia di A2 è tutt’altro che un trofeo minore per una Cantù che dal ritiro di Pierluigi Marzorati, parliamo quindi del 1991, ha vinto soltanto due supercoppe rischiando anche di sparire fra Gerasimenko e altre situazioni. E che adesso, da espressione di un comune di 40.000 abitanti, guarda con ottimismo al futuro con una più che possibile Serie A attraverso i playoff, la nuova Cantu Arena da 5.200 posti che sarà pronta nel 2026, una squadra che al piano di sopra già se la potrebbe giocare, una proprietà diffusa e che in almeno una delle sue componenti è considerabile azionariato popolare, un allenatore come Brienza, fra i migliori d’Italia e canturino purosangue. I tempi commoventi dei due americani più tutti gli altri presi dall’oratorio non torneranno più, ma qualcosa di buono si può ancora fare. Certo le molto elastiche regole attuali, di cui peraltro anche Cantù ha beneficiato con Basile, non aiutano chi lavora bene.
stefano@indiscreto.net
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