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Mancini senza soldi

Redazione

7 aprile 2015

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Il pareggio contro un Parma fallito, che ormai mette in campo soltanto l'orgoglio e la voglia di mostrarsi dei singoli, è stato il punto più basso della seconda vita interista di Roberto Mancini. Non tanto per la manovra, perché anche in una partita giocata malissimo la squadra nerazzurra ha creato più pericoli rispetto alla partita media con Mazzarri, ma per l'atteggiamento fisico e psicologico con cui gli 11 titolari e i 3 subentranti sono entrati in campo: inaccettabile, quando riguarda l'intera squadra e non singoli casi, direttamente imputabile ad un allenatore che fino a 3 settimane fa dava l'impressione di credere nell'Europa League non soltanto a fini motivazionali ma anche per giusticare il mercato di riparazione (Shaqiri al suo peggio, Brozovic anche, Podolski non pervenuto, Felipe inutile, soltanto Santon si sta rivelando un'intuizione giusta). E adesso? La parte 'italiana' della società (Fassone, Ausilio, eccetera) pare non avere grande futuro: già depotenziata nelle mansioni, lo sarà ancora di più nel prossimo mercato quando ogni decisione sarà presa direttamente da Mancini (a questo punto, essendo italiani, dovremmo titolare 'Mancini alla Ferguson'). Quella anglosassone-thohiriana, da Bolingbroke in giù (fra i tanti nomi, a fare la differenza in positivo o in negativo sarà il direttore marketing Claire Lewis, mentre stanno di poco salendo le azioni di Zanetti su cui non avremmo invece scommesso) ha un orizzonte temporale più lungo ma non lunghissimo perché il debito non potrà essere rinegoziato all'infinito (altro che bond): il problema è che non ha una linea politica chiara, giusta o sbagliata che sia, quindi questa navigazione a vista si ripercuoterà anche sul mercato. Fare cassa con Kovacic e Icardi non è una decisione amministrativa, come verrebbe presentata, ma l'ufficializzazione di un'idea di futuro. Poi nel breve periodo al tifoso meno avvertito si può far credere che l'Europa sia piena di giocatori, come Yaya Touré, disposti a dimezzarsi l'ingaggio per il piacere di giocare in una squadra che non fa le coppe e di scambiare qualche battuta con Mancini. Conclusione? È come per i cicli economici, per invertirli ci vuole uno shock e non una gestione ordinaria e sciatta dell'esistente considerando la ricapitalizzazione (che toccherebbe a Moratti per il 30%, ovviamente: un Moratti silenzioso ma sempre ben presente con i suoi 3 consiglieri su 8 che non sono passacarte ma gente in grado di entrare nel merito) come il peggiore dei mali e trincerandosi dietro a sanzioni UEFA che riguardano il deficit, più facile da sistemare con una rosa ambiziosa che con questa avvitata su se stessa. Certo, ci vogliono soldi. Ma nessuno, con buona pace dei troppi giornalisti-commercialisti che giustificano tutto, obbliga a possedere azioni dell'Inter. Quanto a Mancini, quella dell'anno prossimo sarà la sfida più difficile della sua carriera da allenatore: aspettative altissime (quelle che non aveva, per dire, alla Fiorentina, alla Lazio e forse nemmeno nel 2004 quando Moratti lo ingaggiò) e rosa da medio cabotaggio, scelta totalmente da lui ma all'interno di una fascia di valore ben precisa. Insomma, il Mancini senza un grande budget in rapporto alle ambizioni sarà l'incognita più grande di un'Inter già di suo indecifrabile al di là della retorica sui 'nuovi mercati'. Twitter @StefanoOlivari

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