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Lo strappo di Pallotta

Redazione

8 aprile 2015

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Nel mondo che è nella testa di James Pallotta la stessa esistenza degli ultras nel calcio, anche di ultras pacifici e che non espongano striscioni offensivi, è inconcepibile. Per questo il caso della squalifica della Curva Sud (per Roma-Atalanta del 19 aprile) legata a Ciro Esposito potrebbe segnare una svolta nel rapporto fra i club italiani e parte della loro tifoseria, rendendo pià vivibili gli stadi e ovviamente meno vivibili (va da se) le città, visto che si può per legge limitare la circolazione ma non aumentare l'intelligenza. La vicenda della morte di Ciro Esposito è ancora lontana dall'avere una ricostruzione certa, quindi non azzarderemmo considerazioni di alcun tipo se non che lo striscione esposto durante Roma-Napoli rientra nel campo delle opinioni (magari infondate, ma in questo caso espresse civilmente: non è che i comportamenti dei parenti di un morto siano insindacabili) di parte. Mentre certe sono le parole di Pallotta all'indirizzo di gruppi che che secondo lui rovinano l'immagine della Roma: mai un presidente di un grande club aveva preso le distanza in maniera così netta dagli ultras, che nel caso giallorosso con un'interpretazione estensiva del concetto possono essere quantificati in 15mila persone. Ci voleva un americano per farlo, perché soltanto una persona poco coinvolta dal tifo può pensare che le frange estreme del tifo come consumatori, per il business Roma, valgano poco. Pagano (quando li pagano) i biglietti di fascia di prezzo più bassa, non si abbonano alle pay-tv, il loro merchandising è in concorrenza diretta con quello ufficiale del club, danno una cattiva immagine all'estero. Tutto questo con Ciro Esposito c'entra poco, ma era il momento giusto per lo strappo. Twitter @StefanoOlivari

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