I giocatori del Parma, zavorrati adesso da un meno 7 punti, hanno continuato anche contro l'Empoli a dimostrare orgoglio personale e desiderio di mettersi in mostra, prima ancora che attaccamento alla maglia. A cosa dovrebbe essere attaccato poi Belfodil, se non a se stesso? Buon per la credibilità del calcio professionistico italiano, che si sta trascinando verso il finale di stagione in un delirio di penalizzazioni per motivi finanziari e di ipotesi sportive (per non parlare del calciomercato) basate su ricorsi e contro-ricorsi conditi da 'genuine' discese in piazza. Colpa di una crisi economica senza precedenti o dell'auspicata severità, che si spera sempre applicata agli altri? Più la prima cosa. Il calcio in Italia è stato quasi sempre gestito in perdita, recuperando su altri tavoli i soldi persi. Ma in un'altra economia era sostenibile un sistema assurdo, con certi giocatori di serie C che sommando il nero (in serie C, ai bei tempi, circa il 40% del totale netto) guadagnavano come colleghi della massima divisione olandese e portoghese, per citare due movimenti di primo piano. In questo senso le 60 squadre della Lega Pro sono ancora troppe e non è un'opinione perché la somma delle penalizzazioni dalla A al terzo livello ha raggiunto quota 81, più del doppio rispetto ai 32 della stagione 2013-14. Entrando nel dettaglio, soltanto con i 7 del Parma e i 65 della fu serie C si arriva a 72, roba da abolizione immediata della categoria volendo considerare la vicenda Ghirardi-Manenti e soci un qualcosa di unico e abnorme. La prima considerazione è che la serie B, nonostante gli stadi vuoti, stia tenendo sorprendentemente botta: soltanto Brescia e Varese hanno pagato infatti inadempienze finanziarie. Una buona visibilità televisiva e un ridimensionamento notevole stanno dando ragione al probabile successore di Tavecchio, Andrea Abodi, il cui sogno sarebbe quello di vedersi regalare dalla A due buone realtà dopo la riduzione a 18 squadre (di cui non si parla più, quando si dice il caso). La Lega Pro, anche senza toccare gli abissi della Reggina, è invece in sofferenza totale e il toto-fallimenti è arrivato a una decina di squadre, nonostante il progetto web-televisivo abbia avuto un buon successo. Senza più iniezioni di denaro esterne al sistema, per i motivi più vari (anche riciclaggio), questa categoria è morta. La differenza, rispetto alle crisi del passato, è che il bambino (ma ormai anche l'adulto) medio di Monza o Barletta, per citare due club che forse non vedremo più, è totalmente disinteressato alle sorti della squadra del suo territorio. Nel 2015 una squadra di calcio di provincia può morire e in pochi ne sentiranno la mancanza. Conclusione? Il sistema calcio ha interesse a salvare il Parma, ma non la Lega Pro. A meno che il discorso sulle seconde squadre dei grandi club di A torni di attualità, anche se quasi nessuno sembra avere idee diverse da quelle dello spartirsi i soldi semi-sicuri di Mediaset e Sky, sognando nel contempo qualche speculazione immobiliare.
Twitter @StefanoOlivari