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Milan e Doyen, la vita è adesso

Milan e Doyen, la vita è adesso

Redazione

12 maggio 2015

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Molti addetti ai lavori ipotizzano per il Milan un futuro prossimo alla Porto o all'Atletico Madrid, cioè club con buona immagine internazionale che vengono usati per valorizzare giocatori di proprietà di altri club o di fondi di investimento come appunto quel Doyen che potrebbe diventare partner dei rossoneri nel caso la cordata thailandese risulti vincente (ma anche in altri casi, a dire il vero). Pratica, quest'ultima, che è appena stata vietata dalla UEFA ma che può essere messa in atto anche senza essere soci di un club. Non è insomma necessario possedere direttamente il cartellino di un giocatore, come in Sudamerica, o attraverso una società compiacente: basta un semplice finanziamento al club calcistico per ottenere lo stesso effetto. Il nuovo fa sempre paura, non si capisce perché Doyen dovrebbe di base comportarsi in maniera meno etica rispetto a un banca creditrice o a un sistema bancario che nel passato (Geronzi) o nel presente (Unicredit) poteva decidere anche le singole carriere, dal direttore sportivo al massaggiatore passando ovviamente per allenatori e calciatori. Anzi, mentre la banca è interessata a rientrare della sua esposizione, anche imponendo operazioni nel momento sbagliato, il principale interesse delle cosiddette TPO è l'aumento del valore del giocatore per la gioia sua ma anche del giocatore stesso, che cambiando maglia si vedrà aumentato anche l'ingaggio. Il vero sottoprodotto negativo delle TPO è evidente: l'aumento vertiginoso del numero di operazioni di mercato, spesso senza alcuna giustificazione sportiva, quindi l'impossibilità del mitico 'progetto'. Ma non è che di base il calcio delle 'vecchie' società fosse più onesto di questo visto che mediatori e procuratori (non ci riferiamo soltanto al Milan) erano sempre gli stessi. Quello positivo è che un club di media caratura, o come il Milan diventato di media caratura per tutta una serie di motivi, possa nel presente vivere ed avere una rosa molto al di sopra dei propri mezzi attuali. Il paradosso, ma nemmeno tanto, è che lo potrebbe fare senza necessità di vendere la maggioranza azionaria: un uomo di 79 anni ci potrebbe pensare, anzi ci ha già pensato. Twitter @StefanoOlivari

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