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Heysel, trent’anni dopo

Heysel, trent’anni dopo

Redazione

27 maggio 2015

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Sono passati trent’anni da una delle giornate più luttuose della storia del calcio. Dalla follia omicida degli ubriachi tifosi del Liverpool e da quei trentanove tifosi uccisi dentro lo stadio di una capitale europea. Un delirio che sconvolse il mondo e una ferita che fatica terribilmente a rimarginarsi. Il terrore dello stadio Heysel si consumò praticamente in diretta tv ed entrò nelle case degli italiani minuto per minuto. Le notizie passarono da confuse a definite mano a mano che scorreva il tempo e si delineava sempre più nitido l’orribile quadro che andava dipingendosi a Bruxelles. I FATTI Poco prima della finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Juventus, i tifosi inglesi (non solo del Liverpool, pare che ci fossero in mezzo anche gli “headhunters” del Chelsea), entrarono dentro lo stadio con mazze, coltelli e spranghe. Indisturbati. Sin da subito si mostrarono bellicosi, lanciando pietre e oggetti contro quelli bianconeri, sistemati nel Bloc Z, settore dello stadio adiacente a quella del tifo caldo dei britannici. Il settore Z era occupato da molti italiani che avevano comprato i biglietti all’ultimo minuto, parecchi dei quali italiani immigrati in Belgio. Non era dunque il settore degli ultrà, ma una zona mista, a prevalenza bianconera (come raccontato nel dossier del Guerino in edicola questo mese, c’erano anche tifosi di altre squadre). Famiglie, tifosi occasionali, persone senza la minima volontà bellicosa. Quella di metterle proprio di fianco ai settori X e Y, quelli cioè occupati dagli inglesi, si rivelò subito una scelta discutibile, sin dalla vigilia. L’atmosfera era tesa già dal giorno prima, quando molti hooligans avevano dato i primi segnali d’escandescenza per le vie di Bruxelles e fuori dall’Heysel. E la situazione sfuggì di mano all’inerme polizia a cavallo belga, incapace di garantire l’ordine pubblico, non aiutata dalla fatiscenza di un impianto obsoleto, cadente a pezzi, fuori da ogni parametro di sicurezza, come avevano già fatto notare le dirigenze delle due squadre ben prima del 29 maggio 1985. Al lancio d’oggetti seguì la carica che si rivelò fatale: gli hooligans divelsero le deboli protezioni che segnavano il confine tra i due settori ed entrarono nel Settore Z. I tifosi juventini, spaventati, cercarono riparo arretrando sempre più per sfuggire all’assalto. Cinquemila persone si accalcarono vicino al muro di cinta, che crollò, dando il via alla tragedia. Molti tifosi rimasero schiacciati dalla parete e dalla folla che fuggiva per cercar protezione. Altri caddero da un parapetto. Il bollettino di guerra recitò: trentotto morti (divennero trentanove i giorni successivi) e circa seicento feriti. Molti tifosi si rifugiarono nel manto erboso, alcuni entrarono negli spogliatoi per curarsi. Intanto, aumentò la rabbia dei supporter bianconeri dei settori M, N e O, dalla parte opposta di quelli del Liverpool. Alcuni calciatori della Juve tentarono di placarli, ma ci volle del tempo per convincerli a riprendere il loro posto nella curva. “Ci sono dei morti”, “Non bisogna giocare”. Questa la tesi dei tifosi juventini. La stessa dei dirigenti e dei calciatori. Ma l’Uefa e le autorità belghe optarono invece per dare inizio alla partita. Non tanto perché “the show must go on”, ma per guadagnare tempo nella gestione dell’ordine pubblico. Il ministro dell’Interno belga sostenne che «riversare i tifosi fuori dallo stadio sarebbe stato troppo pericoloso. Sarebbe impossibile controllare la loro furia». LA PARTITA «Commenterò la partita nel modo più impersonale e asettico possibile, per esclusivo scrupolo cronistico e senza enfasi di nessun tipo». Questa l’avvertenza di Bruno Pizzul prima dell’inizio della gara. Il commentatore Rai, in quella che è stata la cronaca più difficile della sua carriera, si mantenne distaccato dagli eventi del campo di gioco («Non so nemmeno se definirla o meno finale di Coppa dei Campioni»), perché il pallone passò chiaramente in secondo piano. La gara ebbe dunque inizio, con un’ora e mezzo di ritardo sulla tabella di marca. In un clima irreale, gelido. Il Liverpool perse subito Lawrenson per infortunio e consumò il primo cambio dopo una manciata di minuti. Gli atleti in campo cercarono di onorare l’impegno al massimo. Il primo tempo terminò 0-0, mentre i feriti venivano via via portati all’esterno. Un ospedale da campo con cinque tende per prestare i primi soccorsi venne allestito fuori dall’impianto. La Farnesina mise in funzione dei numeri di telefono per chiunque volesse informazioni su parenti ed amici a Bruxelles. Al 10’ della ripresa, l’incontro ebbe una svolta. Boniek venne atterrato appena fuori dall’area di rigore. Un abbaglio dell’arbitro svizzero Daina fece sì che venne fischiato il rigore anziché la punizione. Dagli undici metri, Platini superò Grobbelaar. L’esultanza dei giocatori juventini stridette con i fatti di cronaca e con il freddo mortale di Bruxelles. Il Liverpool non trovò la via del pari e la Juventus conquistò così la prima Coppa dei Campioni della sua storia, sconfiggendo i detentori del titolo, riportando in Italia la coppa più prestigiosa sedici anni dopo il Milan di Rocco, e accaparrandosi l’unico trofeo che le mancava nella sua gloriosa storia. Il trofeo venne consegnato negli spogliatoi, ma i giocatori tornarono sul campo per festeggiare col pubblico. Proprio così: festeggiare. Veementi saranno le polemiche per quella celebrazione, così come per quella che avvenne per le vie di Torino. In seguito arriveranno le scuse. Per tutti, valgono quelle di Marco Tardelli, che dichiarerà: «È stato un errore giocare, è stato un errore esultare». DOPO L’HEYSEL In seguito a quella tragedia, l’Uefa varò nuove norme sugli stadi, e introdusse parametri più severi. Mai più uno stadio così pericolante avrebbe avuto la minima possibilità di ospitare un evento del genere. I club inglesi furono squalificati per cinque anni dalle Coppe europee, il Liverpool per sei. Il calcio britannico, che aveva pianto per la strage di Bradford appena diciotto giorni prima quella dell’Heysel, vivrà ancora un altro dramma, quello di Hillsborough, nel 1989, coi tifosi del Liverpool ancora coinvolti, ma questa volta nella parte delle vittime. Dopo quelle tragedie, anche il Regno Unito varò nuove leggi sugli stadi e riuscì a emarginare il fenomeno-hooligans, almeno in patria (in campo internazionale si ebbero gravi disordini ancora fino agli anni Duemila). I destini di Juve e Liverpool torneranno ad incrociarsi per la prima volta venti anni dopo, ai quarti di finale della Champions League 2004-05. Ma un primo contatto tra i club si era verificato già nel 1987, quando la Juventus comprò proprio dai Reds, l’attaccante gallese Ian Rush. Giovanni Del Bianco @g_delbianco [gallery link="file" ids="25276,25278,25279,25280,25281,25282,25283,25284,25285,25286,25287,25288,25289,25290,25291,25292,25297,25298,25299,25300,25301,25302,25303,25304,25305,25306,25307,25308,25310,25311,25312,25314,25315,25317,25318,25319,25320"]

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