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Dnipro, da Lobanovskyi a Varsavia

Dnipro, da Lobanovskyi a Varsavia

Redazione

27 maggio 2015

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Da Lobanovskyi a Varsavia passando per…Bellinzona. La rivelazione Dnipro, avversaria stasera di un Siviglia a caccia della quarta Coppa Uefa/Europa League negli ultimi dieci anni, qualche anno fa è transitata anche per il Ticino, ma i bei ricordi sono tutti per i tifosi del Bellinzona. Era il secondo turno della Coppa Uefa 2008 e a Cornaredo i granata di Marco Schällibaum si imposero 2-1 grazie a Gashi e La Rocca, ribaltando il 2-3 rimediato in Ucraina e qualificandosi alla fase successiva. Sembra trascorso un secolo: oggi Gashi è un top player della Super League, La Rocca è diventato campione d’Asia con gli australiani del Western Sydney Wanderers, il Dnipro si gioca la conquista del secondo maggior trofeo continentale, mentre il Bellinzona…sappiamo tutti dov’è. In casa ucraina, l’unico superstite di quel passaggio a Lugano è capitan Ruslan Rotan. Non avrebbe dovuto esserci nemmeno lui, se l’Ucraina nel frattempo non si fosse trasformata in una delle polveriere del continente. Ma, proprio a causa dell’instabile situazione politica del paese, la scorsa estate Rotan ha rifiutato un contratto offertogli dal Rubin Kazan, nonostante avesse già superato un provino con il club tartaro. Perché in un paese, la Russia, che gli aveva strappato un pezzo della sua terra, Rotan non intendeva andare a giocare. Da tempo ormai in Ucraina il calcio è politica, e accade anche che i giocatori diventino lo strumento di una lotta di potere. Per informazioni chiedere a Yevhen Konoplyanka, la stella indiscussa del Dnipro, nonché l’unico giocatore della squadra in grado di avere mercato ad alti livelli. La scorsa estate Konoplyanka si è visto stracciare dal proprietario del Dnipro, l’oligarca Igor Kolomoyskyi, un contratto già firmato con il Liverpool. Motivo? Dimostrare chi comandava nel paese. Del resto Kolomoyskyi, banchiere di origini ebraico-cipriote, non ha certo bisogno di soldi, essendo a capo del PrivatBank Group, una holding che controlla centinaia di compagnie in Ucraina, con interessi pressoché in ogni settore: metalmeccanico, bancario, energetico, chimico, petrolifero, dei trasporti e dei servizi. Il PrivatBank Group rappresenta, di fatto, l’industria ucraina, e il suo boss è un esponente dell’ala nazionalista più radicale. Per Kolomoyskyi, Putin non è nient’altro che un “nano schizofrenico” da fermare con ogni mezzo: lui, da governatore dell’Oblast di Dnipropetrovsk, ha messo delle taglie per la cattura di militanti filo-russi (10mila euro ciascuno), ha proposto l’installazione di 30mila chilometri di filo spinato elettrificato per “proteggere l’Ucraina dall’invasione dell’Est” e ha finanziato gruppi militari nella zona di Dnipro, tanto che la Russia ha chiesto all'Interpol di emettere un mandato di cattura internazionale per crimini contro la popolazione civile. Se si aggiungono le accuse di cui deve rispondere in patria per i metodi non convenzionali (vale a dire mazze da baseball e tirapugni) utilizzati per convincere un paio di direttori delle sue aziende a non passare alla concorrenza, risulta chiaro come non sia semplice dire di no al signor Kolomoyskyi. Il Dnipro è una squadra che ha sempre rispecchiato la filosofia del suo patron. Mentre le altre big del calcio ucraino si imbottivano di stranieri, trasformandosi in autentiche multinazionali (Dinamo Kiev) o in colonie brasiliane (Shakhtar Dontesk), il Dnipro ha sempre mantenuto una forte base autarchica, pur avendo attenuato nel corso degli anni la rigida politica che, in un primo momento, rifiutava di mettere sotto contratto giocatori stranieri. Del resto le basi per l’exploit odierno le ha messe uno spagnolo, Juande Ramos, che prima di lasciare l’incarico la scorsa estate per la difficile situazione in Ucraina, aveva portato la squadra fino al secondo posto in campionato – miglior piazzamento negli ultimi 20 anni – e, a livello internazionale, ad accedere regolarmente alla fase a eliminazione diretta di Europa League. Quest’anno il suo successore, Myron Markevych, ce l’ha fatta anche con un pizzico di fortuna, perché se all’ultimo minuto di Qarabag-Inter non fosse stato annullato un gol regolarissimo agli azeri, il turno assieme ai nerazzurri lo avrebbe passato proprio il Qarabag a scapito degli ucraini. Il Dnipro di Markevych non gioca un bel calcio, ma fa giocar male anche gli avversari. Un concetto lontano mille miglia dal calcio scientifico di Valeriy Lobanovskyi, che però proprio a Dnipro ha visto le sue origini. Nel 1968 Lobanovskyi, appese le scarpe al chiodo, era intenzionato ad abbandonare definitivamente il mondo del calcio per tornare a fare l’ingegnere idraulico. Il livello dei campionati in Unione Sovietica per lui era troppo basso. “Si, con la Dinamo Kiev abbiamo vinto il campionato”, disse una volta durante una visita al Science and Research Instituteof the Costruction Industry, “ma in qualche circostanza abbiamo giocato veramente male. Alla fine abbiamo fatto solo più punti di altre squadre che hanno giocato peggio di noi. Non posso accettare elogi visto che non ci sono meriti da parte nostra”. Ma l’offerta del Dnipro, all’epoca in seconda divisione, era di quelle che non si potevano rifiutare. Il club diventò il laboratorio di Lobanovskyi, il luogo dove testare sul campo quei metodi scientifici che riteneva rappresentassero il futuro. Raccolse una promozione, arrivò sesto da neopromosso nel campionato sovietico, conobbe l’esperto di bioenergetica Anatoliy Zelentsov – personaggio fondamentale nello sviluppo della sua filosofia calcistica - e dopo quattro anni passò alla Dinamo Kiev. Negli anni 80 il Dnipro vinse due campionati sovietici. Ma il successo più grande nella storia del club rimane quello di aver regalato al calcio uno dei suoi maestri più straordinari. Fonte: Il Giornale del Popolo</em>

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