Il quinto mandato come presidente della FIFA è andato di traverso a Joseph Blatter, anche per il modo in cui è stato ottenuto. Intanto le proporzioni: 133 voti su 209 paesi, contro i 186 su 203 al congresso di quattro anni fa. Ma ovviamente ciò che il 79enne svizzero non accetta è che la UEFA stia cavalcando apertamente l'indagine del procuratore generale degli Stati Uniti e dell'FBI riguardante varie malversazioni (i capi d'accusa sono 47) nella gestione della FIFA e soprattutto nell'assegnazione dei Mondiali 2018 e 2022. La minaccia di Platini di uscita dalla FIFA è in sostanza inapplicabile, perché Platini è il presidente anche di Russia, Spagna e Francia, dichiaratamente pro Blatter (tuttora non si è capito per chi abbia votato Tavecchio, all'ultima rilevazione pare Al-Hussein), ma unita al malumore del Sudamerica (10 sole federazioni, meno dell'orrida CONCACAF, ma dai nomi pesanti) avrebbe un suo perché e non sarebbe nemmeno inedita, visto che il progetto circolò già nel 1974 quando João Havelange prese il potere ai danni dell'inglese Stanley Rous: in pratica, intuendo il rischio di un voto dello Zaire con lo stesso peso di quello tedesco o italiano, il progetto dei sostenitori di Rous era quello di una FIFA nella sostanza europea, come alle sue origini, arricchita di qualche nazione di grande tradizione calcistica o di grande peso politico: Brasile, Argentina, Uruguay, Stati Uniti, Giappone, Cina e pochi altre. Il piano non divenne mai concreto e l'espansione indiscriminata dei paesi FIFA ha portato a realtà come, con tutto il rispetto, Vanuatu o San Marino. La corruzione è quindi soltanto un aspetto del problema FIFA, di sicuro il più spendibile sui media ma forse non il più importante. Il problema è la democrazia totale, perché è chiaro che gli interessi di un'isoletta che vide dei sussidi FIFA e di finti 'progetti' sono diversi da quelli delle nazioni dove, nel bene e nel male, il calcio è qualcosa di vero.
Twitter @StefanoOlivari