Giornale di critica e di politica sportiva fondato nel 1912

Giovan Battista Fabbri, 1926-2015

Giovan Battista Fabbri, 1926-2015

Redazione

4 giugno 2015

  • Link copiato

Gli anni Settanta del calcio italiano. Anni in cui il pallone offriva una versione autarchica ma avara di successi europei (una Coppa Uefa della Juve e una Coppa delle Coppe del Milan gli unici trofei raccolti in quel decennio). Un periodo che molti rimpiangono: gli stadi pieni, “Novantesimo minuto” e un alone di romanticismo e mistero. Erano anche gli anni in cui in Serie A potevano salire sul podio splendide realtà di provincia come il Perugia di Ilario Castagner, secondo da imbattuto nella Serie A del ‘78-79. O il Vicenza di Giovan Battista Fabbri, anch'esso piazzatosi sul secondo gradino del podio, l’anno prima. Il “Vicenza dei miracoli”, era chiamato. O anche “Real Vicenza”. Una squadra che strizzava l’occhio al calcio totale e che da neopromossa arrivò a sfiorare l’impresa. Dell’undici titolare, tutti andarono a segno, in quell’anno di grazia. Di quel meccanismo così ben collaudato, si innamorò anche Gianni Brera che disse: «Non avrei mai creduto che una squadra di provincia potesse giocare al calcio come ha giocato il Vicenza». Di quel calcio di provincia, Fabbri è uno dei massimi simboli: tutta la sua carriera è stata un girovagare per lo Stivale, sia da calciatore (Centese, Modena, Messina, Spal, Pavia e Varese), sia da allenatore (e qua la lista è infinita: le tappe principali, oltre a quella vicentina, restano Spal, Livorno, Piacenza, Ascoli, Cesena, Reggiana, Catania, Catanzaro, Foggia, Bologna e Venezia). Fabbri impiegava una sola punta, e in quel Vicenza questa era rappresentata da Paolo Rossi, spostato dalla fascia al centro dell’area di rigore. Prima, Rossi, non ancora Pablito, era un’ala destra e nelle sei presenze al Como, dove la Juve lo aveva mandato in prestito, non convinse troppo: sei presenze e nemmeno un gol. Eppure Fabbri intravide in lui una rapidità di riflessi che in area sarebbe diventata letale. Spostarlo in avanti fu un’intuizione geniale che consegnò al calcio un cannoniere prolifico e che regalò a Bearzot l’attaccante su cui puntare ai Mondiali d’Argentina del 1978 e di Spagna nel 1982. Attorno all’attaccante, prendeva posto una nutrita schiera di centrocampisti: Cerilli e Filippi ai lati, Salvi al centro, con Guidetti e Faloppa di rinforzo. La coppia Fabbri-Rossi funzionò subito a meraviglia: nel ‘77, quest’ultimo trascinò il Vicenza in Serie A, segnando ventuno reti. E al primo anno da titolare nella massima serie, riuscì addirittura a migliorarsi, realizzandone ventiquattro. Quello di “Gibì” era un calcio moderno e spettacolare. Per dogma, il primo attaccante della squadra doveva essere il portiere. E i terzini non si limitavano al lavoro sporco, ma dovevano attaccare e partecipare alla doppia fase. Il secondo posto del 1978 fu un traguardo fragoroso per i veneti, che in quell’anno ottennero il miglior piazzamento della propria storia, chiudendo ad appena cinque punti dai Campioni d’Italia. Nella stagione successiva, la 1978-79, il giocattolo del Vicenza si ruppe e l’undici di Fabbri retrocedette in Serie B al termine di una stagione disgraziata che era partita sotto tutti altri auspici, con l’acquisto alle buste di Paolo Rossi, strappato alla Juventus comproprietaria del cartellino. Una crisi di risultati nel finale di stagione (nemmeno una vittoria nelle ultime dieci gare), portò il Lanerossi alla retrocessione. Fatale la sconfitta a Bergamo all’ultima giornata, che fece retrocedere in un colpo solo sia i veneti sia l’Atalanta (destino comune: insieme erano salite nel 1977 e insieme tornarono tra i cadetti). Dopo quella caduta, Fabbri troverà gloria in Serie C, che aveva già vinto una volta col Piacenza (1975). Conquisterà il campionato nel 1985 col Catanzaro e nel 1992 con la Spal, in quella provincia che era il suo terreno preferito.

Giovanni Del Bianco

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Loading...





















Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi