A Berlino per la Juventus si è chiuso o si è aperto un ciclo? La risposta sportiva è molto diversa da quella societaria. Sotto il primo profilo non c'è infatti dubbio che la squadra che è arrivata a poco dalla terza Coppa Campioni-Champions League della storia bianconera sia stata la squadra di Conte, ma soprattutto di Pirlo (la storia ha cambiato il suo corso nell'estate 2011), che Allegri ha gestito con un'intelligenza già dimostrata al Milan e che chi vede le cose dall'interno (Galliani), senza innamorarsi delle figurine, gli ha sempre riconosciuto. Non lo è stata per il modulo tattico di base, la Juventus di Conte, ma lo è stata per intensità, ferocia, capacità di giocare insieme e di esaltare il rendimento di giocatori in altri contesti normali o peggio. Come età media la Juventus titolare di oggi ha ancora qualcosa da dare, ma qualsiasi cosa si decida per Pirlo e Tevez la loro epoca si è chiusa, con una partita non all'altezza della fama e soprattutto con tante alternative (Khedira e Dybala, per dirne due sicure) valide. Diverso è invece il discorso societario, perché arrivando a Berlino la Juventus è davvero entrata in un'altra dimensione. Non tanto finanziaria, perché la vera differenza fra vita e morte è la qualificazione alla Champions più che il cammino nella stessa, quanto di status. Il Pogba della situazione, al di là delle offerte, non potrà più pensare di avere migliori opportunità di vincere la Champions a Parigi o Londra invece che a Torino, con lo stesso discorso che vale per i giocatori in entrata: al di sotto del livello Real-Barcellona, che per le stelle assolute rimangono le due squadre del pianeta a cui aspirare, a parità di ingaggio Agnelli e Marotta possono arrivare agli stessi giocatori a cui possono arrivare, per dire un Chelsea o un Bayern Monaco. Vittorie e sconfitte passano, avendo anche una buona percentuale di casualità, ma lo status si costruisce nel tempo.
Twitter @StefanoOlivari