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Il Milan di Rocco. Il Milan di Sacchi. Il Milan di Capello. Il Milan di Ancelotti. I più grandi cicli della storia rossonera portano tutti l’impronta di un tecnico italiano. Invertire il trend: anche questo sarà l’obiettivo di Sinisa Mihajlovic, chiamato a ricostruire una squadra ferita dopo tanti risultati deludenti. Spesso il Milan si è affidato ad allenatori non italiani, ma in epoca più o meno recente, solo la scelta di Nils Liedholm si rivelò vincente. Lo svedese conquistò il campionato nel 1978-89, il famoso “scudetto della stella”. Poi, dopo quel trionfo, tutti i successi sono legati a tecnici nostrani. Più di una volta, il Milan ha puntato su scelte esotiche, ritrattandole però molto presto. Scommesse perse, avventure fugaci. Il primo a finire nella trappola è stato lo stesso Liedholm, che dopo aver vinto lo scudetto alla Roma nel 1982-83 e aver portato i capitolini alla finale di Coppa dei Campioni l’anno seguente, è tornato nella Milano rossonera per il suo terzo mandato da allenatore. Tre anni privi di successi e conclusi con l’esonero del 1987, quando al suo posto Berlusconi chiamò Fabio Capello. Durò pochissimo Oscar Washington Tabarez, ingaggiato nell’estate del 1996. L’uruguaiano, che aveva conquistato diversi titoli in Sudamerica, tra cui una Copa Libertadores, e che in Italia aveva raggiunto un pregevole nono posto con il Cagliari, durò fino all’1 dicembre, quando una sconfitta col Piacenza e una classifica precaria gli costarono il posto, a favore di Arrigo Sacchi. Poi, venne la volta dell’Imperatore Fatih Terim. Estate 2001: Berlusconi e Galliani, stregati dal modo di giocare dell’ex tecnico di Galatasaray e Fiorentina - amante di un calcio rapido, moderno, d’attacco e foriero di risultati (vinse la Coppa Uefa del 2000) - decidono di affidargli la panchina del Diavolo. Ma le cose non funzionano e già in novembre, la luna di miele è finita. Buon per il Milan, d’altronde, perché a prendere il posto del turco, sarà Carlo Ancelotti. Nel 2009-10 è la volta del brasiliano Leonardo, già nei ranghi societari e passato in un batter d’occhi dalla scrivania al campo d’allenamento. È il Milan del famoso 4-2-fantasia, una specie di 4-2-3-1 o 4-2-4, così ribattezzato per intendere la grande libertà lasciata agli uomini dalla trequarti in su. Il Milan parte malissimo, ma poi si riprende e chiude con un buon terzo posto, alternando prestazioni buone ad altre deludenti. Dopo solo un anno il regno di Leonardo finisce e il tecnico si accaserà ai cugini dell’Inter. Il Diavolo sceglierà di puntare sul più pragmatico Massimiliano Allegri. E proprio in sostituzione di Allegri, arrivò l’ultimo allenatore straniero prima di Mihajlovic. L’ultimo caso della rassegna riguarda Clarence Seedorf: l’olandese aveva salutato il Milan nel 2012 per andare a chiudere la carriera da calciatore con i brasiliani del Botafogo. Nel gennaio del 2014, i rossoneri lo chiamano per sostituire l’esonerato Allegri. Lui appende velocemente le scarpe al chiodo e si tuffa nella sua prima esperienza da allenatore. Seedorf traghetta la squadra a fine campionato senza centrare la qualificazione alle coppe e non viene confermato. Il Milan lo esonererà per affidarsi a Filippo Inzaghi. Sta ora a Sinisa Mihajlovic, subentrato allo stesso Inzaghi, cambiare la rotta che ha visto negli ultimi trent’anni, tutta l’era Berlusconi in pratica, fallire gli allenatori stranieri. Il modello da imitare va ricercato nel Liedholm del 1978-79 o nel passato più remoto: nell’inglese Kilpin (allenatore-giocatore e padre del Milan. Titoli nel 1901, 1906 e 1907), nell’ungherese Czeizler (scudetto 1950-51), o nell’uruguaiano Puricelli (scudetto 1954-55 subentrando a stagione in corso un altro straniero, l’ungherese Guttmann, lo stesso della “maledizione” del Benfica). Giovanni Del Bianco @g_delbianco
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