Gli antipatizzanti di Roberto Mancini, che fra gli addetti ai lavori del calcio sono in percentuale superiori che fra gli spettatori, sostengono che la sua più grande qualità come allenatore sia quella di convincere i suoi presidenti a tirare fuori i soldi. Senza volerlo gli hanno fatto un complimento perché l'allenatore troppo aziendalista è quello, ad ogni livello, che imbocca fin da subito la strada per l'esonero. Con il contratto che ha (è il più pagato della A, più anche dell'Allegri prolungato) Mancini avrebbe tutta la convenienza personale nel gestire una squadra futuribile e con l'alibi pronto, tanto lo stipendio correrebbe lo stesso ed ogni vittoria sarebbe una sua vittoria. Invece si sta agitando tantissimo, complice il fair play finanziario UEFA che si è rivelato una buffonata (non per l'Inter, però), per riportare la sua squadra fin da subito alle spalle della Juventus dove la situazione è troppo invitante per non provarci.
In tanti, forse troppi, pensano di essere a uno o due giocatori dalla Champions League, di qui lo scannarsi per un discreto contropiedista come Salah, Mancini forse lo pensa più degli altri. Dopo la fallimentare campagna di gennaio (Shaqiri, Brozovic, Podolski, Felipe, Santon), che lascerà nella prossima Inter probabilmente un solo giocatore e nemmeno titolare, quella estiva (Murillo, peraltro preso da sei mesi, Miranda, Montoya, Kondogbia, senza contare un numero inquietante di rientri da prestiti) va nella direzione indicata dal primo Mancini interista, quello del 2004: giocatori forti fisicamente, qualcuno meno atletico ma con grande personalità, ma soprattutto costruzione di una classe media o medio-alta su cui innestare in un futuro uno o due campioni, di quelli che adesso rifiutano l'Italia e non per soldi. La prima estate nerazzurra di Mancini fu caratterizzata dagli arrivi di Mihajlovic, Cambiasso, Veron, addirittura di Edgar Davids (tutti a costo zero...), più Burdisso e Zé Maria. E l'anno dopo sarebbero arrivati Julio Cesar, Samuel, Maxwell, Figo, completando l'opera nel 2006 con Maicon, Vieira e Ibrahimovic. Nessuno scarso atleticamente, nemmeno grandi menti calcistiche come Cambiasso e Veron, a conferma del luogo comune che vuole gli ex giocatori di classe pura affascinati da un calcio fatto da grandi atleti, lasciando ad altri il trequartista indolente, l'aletta che non torna o il grande centravanti con la passione per la birra (e non solo).
Tornando al punto, il migliore acquisto della gestione Thohir si è rivelato proprio Mancini, forse al di là delle intenzioni dell'imprenditore indonesiano: cercava l'uomo di prestigio internazionale, con anche quella spruzzata di Premier League che in Asia conta, che facesse da garante di un progetto, e invece si ritrova con uno che vuole tornare in alto subito oppure preferirà farsi cacciare e seguire la serie A dalla sua barca. Situazione che un mese fa non era fantacalcio, va detto. Per il momento nella sua seconda incarnazione interista ha ottenuto risultati inferiori al vituperato Mazzarri (che del resto ha vinto anche il confronto napoletano con l'attuale allenatore del Real Madrid), ma pensare in grande è la base per fare qualcosa di grande, o almeno provarci. Per questo i presidenti ma anche tanti dirigenti (addirittura Moggi) hanno sempre visto in Mancini, anche nel Mancini giocatore, qualcosa che in altri non hanno visto. Situazione che chiaramente manda fuori di testa tanti 'colleghi' .
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Twitter @StefanoOlivari