Le elezioni per la presidenza del Barcellona potrebbero essere decisive per il futuro di Paul Pogba, almeno secondo il suo agente Mino Raiola che ha legato al ritorno al comando blaugrana di Joan Laporta (spodestato cinque anni fa, dopo essere stato eletto nel 2003) la possibilità, ma non certo la certezza, che la Juventus venga convinta a cedere un altro pezzo pregiato dopo aver perso Vidal e non avere fatto mosse significative, al di là di complimenti di circostanza, per trattenere Pirlo e Tevez. Al momento Pogba-Barcellona è soltanto carne da titolo, da domenica si vedrà.
È però un ottimo pretesto per tornare su una questione che ci sta moltissimo a cuore, cioè la possibilità per i tifosi di governare la propria squadra, sottraendola ai magheggi di chi ci mette i soldi e spesso anche di chi i soldi nemmeno ce li mette (nella serie A e B dei prestanome gli esempi sono numerosi). Insomma, il mitico azionariato popolare, che da noi o viene tirato fuori soltanto nei pressi del tribunale fallimentare, con debiti impossibili da ripianare, però mai come reale opportunità.
Come funziona in realtà al Barcellona? Partiamo dai soci, che sono circa 153.000 (in piena era Guardiola erano 170.000) e che sono riuniti in una forma giuridica che rappresenta una deroga rispetto alla legge spagnola (deroga che vale anche per Real Madrid e pochi altri) che prevede per i club sportivi professionistici la forma di Sociedad Anonima Deportiva. In parole povere il fine di lucro, mentre ufficialmente Barcellona e Real sarebbero associazioni che non perseguono il lucro. La prima cosa da notare è che 153.000 è più della capienza del Nou Camp (99.354), quindi essere soci non dà garanzie di alcun tipo (certo, la prelazione sull'acquisto, ma raramente con sconti) al di là del fatto che si tratti di una polisportiva e che magari una minoranza non sia interessata al calcio.
Le quote annuali variano in funzione dell'età (quella massima è sui 180 euro) e tutte insieme producono un introito di circa 20 milioni l'anno. Non ci si paga nemmeno il lordo dell'ingaggio di Neymar, ma sono comunque soldi. Avranno almeno il diritto di voto, direte. No, solo un'esigua minoranza, meno del 3% (scelto con vari criteri, fra cui anche il sorteggio) ha diritto di voto in assemblea. Assemblea che decide le politiche del club ma non il presidente, per cui c'è una votazione speciale a cui possono partecipare tutti i soci con più di 10 anni di anzianità.
Pensare che che chiunque possa diventare presidente, un sogno tipo il Cruijff della situazione, è però un errore, perché anche lì solo chi è ricco può sperare di vincere. Laporta e gli altri candidati (il vero rivale è l'attuale presidente Bartomeu, chance inesistenti per gli altri), in caso di vittoria dovranno garantire un fideiussione che copra il 15% delle spese del club. Non che ci mettano davvero questi soldi, ma devono comunque averli per poterli dare a garanzia. O, nella peggiore delle ipotesi, avere buoni agganci politico-bancari. Insomma, Pogba non lo pagherà Laporta ma Laporta è comunque l'architetto della grandeur attuale del Barcellona, iniziata con Rijkaard e un Messi minorenne, soprattutto l'inventore di Guardiola allenatore. Non potendo migliorare l'attacco attuale, di certo si inventerà qualcosa in altri reparti.
E quindi, venendo a noi? Esistono 153.000 tifosi di Juventus, Inter, Milan, Roma o Napoli, per citare i bacini di utenza più grandi, disposti a spendere 180 l'anno per 10 anni per poter eleggere presidente non un ex campione o un loro rappresentante e in generale per avere la sensazione di contare qualcosa? Secondo noi no, ma saremmo felici di sbagliarci visto che per una squadra (di pallacanestro) avevamo un'idea simile, concretizzatasi nella raccolta di 12 adesioni a fronte di circa 3.000 tifosi teorici. Senza citare la famosa frase di Stefano Ricucci ("Tutti f.... con il c... degli altri"), bisogna accettare la realtà: difficile levare soldi a un tifoso italiano, senza dargli almeno biglietti o abbonamenti televisivi.
Twitter @StefanoOlivari