Ibrahimovic e Pogba giocheranno dove Mino Raiola gli consiglierà di giocare, con buona pace di Paris Saint-Germain, Milan, Juventus, Barcellona, eccetera. Lo ha spiegato, scherzando ma dicendo al tempo stesso la verità, lo stesso Zlatan. Che non è intenzionato a dimezzarsi l'ingaggio per avere il privilegio di non giocare la Champions League, come continuano a scrivere nel circuito del copia e incolla, ma a 34 anni si sta guardando intorno e non chiude nessuna porta, da vero 'Senza maglia e senza bandiera', bellissimo titolo di un libro di Petrini. Ma come ha fatto Raiola a conquistare il cuore di Ibra, uno che in sostanza disprezza il genere umano pur essendo capace di generosità concreta (in pochi sanno che mantiene uno stuolo di indigenti, non soltanto suoi parenti, con un budget nell'ordine dei 200mila euro al mese), oltre che di tanti altri campioni, senza risultare ai suoi occhi il solito procuratore avido? La risposta sta nella poco conosciuta, se non per dettagli utili a sfotterlo, storia personale del 48enne Carmine, nato a Nocera Inferiore ma che l'Italia la conosce soltanto per merito, o per colpa, delle trattative che ha condotto.
Raiola non viene dalla strada o da un'infanzia disperata, ma da una buona famiglia di emigrati in Olanda, con il padre presto trasformatosi da meccanico in imprenditore, anche nel settore della ristorazione, con tre diversi locali. Il 'Raiola pizzaiolo' di cui spesso si è letto con una punta di disprezzo (ma fra poco la maggior parte dei giornalisti dovrà pregare i pizzaioli di potergli fare da aiutante) è assolutamente un falso: il giovane Mino era il figlio del proprietario, al massimo stava alla cassa o aiutava ai tavoli quando un cameriere era ammalato. Non era comunque un intellettuale scomodo e alcune delle sue otto lingue si riducono a 50 vocaboli calcistici (in realtà parla benissimo l'olandese, bene italiano e inglese), ma il classico ragazzo borghese con il trip del calcio e che dopo il liceo avrebbe fatto di tutto per entrare a qualsiasi titolo nell'entourage dei calciatori.
Non ci è riuscito come collega, pur essendo a suo dire transitato per le giovanili dell'Harleem (la sua vera città), ci ha provato da pseudo-amico come capita a tanti, troppi, ristoratori anche in Italia, ci è riuscito da agente. Da imprenditore nell'import-export a 360 gradi, soprattutto sull'asse alimentare Italia-Olanda, a sedicente direttore sportivo (in realtà collaboratore) dell'Harleem, all'epoca allenato da Dick Advocaat, il passo fu brevissimo e favorito dalla conoscenza del presidente proprio dell'Harleem. Ma fare le nozze con i fichi secchi non era nelle corde di Mino, che così dopo la retrocessione del club si mise a fare da consulente a giocatori di varie squadre, diventando in breve tempo il riferimento di qualsiasi olandese volesse andare all'estero, allargandosi poi a mezza Europa ma sempre scegliendo gente con potenziale. Da Brian Roy a Dennis Bergkamp, arrivando a Ibra e Pogba e passando per Nedved, Robinho, Balotelli, eccetera.
Più che elencare nomi che tutti conoscono, ci piace sottolineare la peculiarità di Raiola nel mondo dei procuratori, anche di quello di alto livello, stando ai suoi antipatizzanti che credendo di metterlo in cattiva luce gli hanno in realtà fatto un complimento. La peculiarità di Raiola è che lui non fa 'mezze' o 'torte' con i dirigenti dei club, non perché sia un santo o più onesto degli altri ma perché è convinto di guadagnare di più dalle percentuali dei contratti dei suoi assistiti che dai rapporti ambigui ma per certi versi sicuri (traduzione: io ti faccio pagare meno di ingaggio al mio giocatore top, ma in cambio ti prendi un paio di mezze seghe da 'marchiare' con il nome del grande club e da rifilare poi in provincia con un quinquennale blindato) che sono preferiti da molti suoi colleghi, più concentrati sulle dimensioni del business che sulla qualità. Un discorso di questo genere Raiola lo aveva avviato con il Milan di qualche anno fa, con i Mattioni della situazione, ma se ne è subito pentito pur rimanendo in buoni rapporti con Galliani. Troppo tempo rubato al rapporto personale con gli assistiti vip.
I giocatori, soprattutto i più intelligenti, si accorgono dell'impegno prima ancora che dei soldi e a Raiola sono addirittura devoti, giustamente ritenendo ben spesa la percentuale. Quella di Raiola è nella fascia alta della cosiddetta forbice, vicina al 10%, quindi tanto per fare un esempio non è strampalato ipotizzare che da Balotelli il procuratore guadagni circa 500mila euro all'anno, senza contare i bonus quando vengono definiti cambi di società. Meglio trattenere il 90% di 6 milioni, che il 96% di 3, ragionamento banale ma che tanti addetti ai lavori (per non dire dei familiari-consiglieri) faticano a comprendere.
Il sogno di Raiola, quello che non osa confessare nemmeno a se stesso, è comprare il Napoli, squadra per cui tifa da sempre. Purtroppo per lui i bilanci del club di De Laurentiis (che non ama) sono buoni. Quello realistico è di comprare un club di medio cabotaggio, per far crescere giovani da rivendere a peso d'oro. Ci era quasi riuscito con il Lugano (che, saltata la trattativa, ha poi ingaggiato Zeman di cui Raiola è grande estimatore come valorizzatore di sconosciuti), adesso si dice che stia aspettando due cadaveri italiani, entrambi in serie A e con una situazione debitoria accettabile (se no avrebbe preso il Parma). Il patrimonio accumulato gli consentirebbe di essere uno dei presidenti più liquidi della A, in un futuro nemmeno tanto lontano. Un'operazione Ibra di qua, un Pogba di là, un Balotelli pentito, e quasi ci siamo.
Twitter @StefanoOlivari