Le cose sono due e straordinariamente non in rotta di collisione. Mourinho è l'allenatore più amato del mondo, Mourinho è l'allenatore più odiato del mondo. Di certo, il lato privato dello Special One non si era ancora visto. «Ho paura della morte - ha dichiarato in un'intervista rilasciata al "London Evening Standard" -. Mi piace molto vivere e stare vicino alle persone che amo. Non mi separo mai da una foto dei miei figli, è amore». E sfuggendo alle purtroppo consuete logiche che agitano le dichiarazioni ufficiali degli allenatori, che sono sempre più chiacchiere da bar piene di banalità e retorica, il portoghese dimostra ancora una volta di saper giostrare su una delle sue fantastiche virtù, l'originalità. L'ultima riguarda Iker Casillas con il quale ha vissuto un rapporto tormentato negli anni di Madrid. Piccola parentesi, che va al di là delle celebrazioni al portiere passato al Porto dopo 25 anni alla Casa Blanca, Mourinho - e poi Ancelotti - ha avuto il coraggio di farlo scendere dal trono e giustamente, considerando i primi segni di declino di un atleta sì eccellente, ma nella prima decade del nuovo millennio. «I suoi due milioni e mezzo di ingaggio sono una cosa incredibile» tuona l'eroe del triplete interista, che in Italia manca davvero tanto. Una nitida fotografia dello spietato cinismo del santone di Setúbal si è avuta nell'aprile dello scorso anno in Liverpool-Chelsea, probabilmente la partita più alta in stagione sotto il profilo emotivo, positivo e negativo, quella dello scivolone di Gerrard sotto gli occhi della Kop. La corsa di Mourinho verso lo spicchio dei tifosi dei Blues, mano destra che batte violentemente sul cuore, urla da manicomio che nemmeno il buon Carletto Mazzone contro gli atalantini. Per i cuori puri ha rimediato qualche mese dopo nella replica del match, invitando alla calma i suoi sostenitori: «No agli sfottò contro Stevie G, uno come lui merita solo rispetto».
Sempre fuori dal coro, José. Come quando lasciò l'Inter in mano a Rafa Benitez, al quale è stata affidata la panchina più importante del mondo in virtù degli scarni risultati delle ultime annate, dichiarando che probabilmente lo spagnolo avrebbe fatto suo il Mondiale per club, prendendosi però tutti i meriti: «Se vincerà la Coppa Intercontinentale, avrà vinto due sole partite rispetto alle mie tredici. Quindi sarà la mia vittoria, non la sua». Parole chiare e dirette e che in pochi, al posto di Mourinho, avrebbero avuto la faccia tosta di pronunciare. Tre volte su quattro oltrepassa il limite della decenza, lasciandosi trasportare dalla propria esuberanza, le manette a Tagliavento o il siparietto a distanza con l'allora dirigente del Catania Pietro Lo Monaco: «Io conosco Monaco de Tibete, Monaco Montecarlo, Bayern Monaco, Gran Prix di Monaco. Se questo Lo Monaco vuole essere conosciuto per parlare di me, mi deve pagare tanto. Io ho già degli sponsor che mi pagano per fare pubblicità. Non vengo pagato per fare pubblicità a Monaco». Show su show in conferenza stampa, personaggio dissacrante che spezza la monotonia del già detto, è per questo che manca al campionato italiano. Mourinho è tutto, tranne che un pirla.
@damorirne