Tutti grandissimi conoscitori di Alex Telles, così come di altri cinquecento nuovi arrivi (per non scrivere sbarchi) in Italia. La cosa più divertente del calciomercato è come addetti ai lavori e tifosi discutano animatamente di giocatori mai visti giocare fino al giorno prima, se non come avversari di squadre italiane. Poi ovviamente ci scriveranno centinaia di lettori, interisti e non, abbonati a Galatasaray Channel, ma la cosa che conta è che il laterale sinistro brasiliano sia ben conosciuto dal direttore sportivo Ausilio e da Roberto Mancini, che lo ha avuto alle sue dipendenze due stagioni fa e quindi può valutare se a sinistra sia meglio dei vari Santon, Nagatomo, D'Ambrosio, Dodò, Dimarco (tutti rimasti, fra l'altro). Di sicuro lo apprezza, perché quando Telles arrivò a gennaio del 2014 dal Gremio lui lo fece giocare sempre, nei pochi mesi di convivenza. Il giocatore, per quello che conta, piaceva anche a Prandelli. E adesso, ingaggiato nell'ultimo giorno di mercato, è diventato il simbolo della campagna acquisti nerazzurra in quanto preso per una zona dove certo non c'era un buco se non per la scelta 'dimostrativa' dell'allenatore che da quella parte ha finora messo Juan Jesus.
Non c'è ironia, perché quando le cose vanno male il tecnico è il primo colpevole per media che non possono criticare i dirigenti e Mancini lo sa bene: per questo la pretesa di un buon mercato, ai confini del budget di un club impossibilitato a ricapitalizzare per le note vicende (in sintesi: per non diluire la quota di Moratti, in attesa dell'operazione Borsa o di novità nell'azienda di famiglia), è stata giustissima. Otto acquisti destinati a diventare titolari (Miranda, Murillo e Telles in difesa, Kondogbia e Melo a centrocampo, Perisic, Jovetic e Liajic in attacco), uno che sembra non avere padri (Montoya, il classico pacco con il marchio di un grande club) più Biabiany per motivi fra il regolamentare (ha giocato tre anni nell'Inter, prima del compimento dei 21) e l'umanitario (ma il problema cardiaco sembra superato). Difesa a quattro con centrali energici, due negri (nel senso di spazzatutto) davanti alla difesa anche se non sono Vieira o Yaya Touré, quattro giocatori offensivi da incastrare secondo l'ispirazione: questa è la formazione che in ogni sua squadra Mancini ha inseguito, con fortune alterne ma sempre con coerenza, anche se ad un certo punto dell'estate preso dallo sconforto, fra una telefonata carismatica e l'altra, aveva iniziato a pensare al 4-3-3.
Insomma, pur mantenendo lo stesso giudizio sull'assetto societario dell'Inter (a Moratti sarebbe bastato coinvolgere uno come Thohir come dirigente stipendiato e non come socio), bisogna ammettere che il club ha messo in mano al suo allenatore quasi tutto ciò che aveva chiesto stando nei limiti di spesa. Limite che è stato rispettato, anzi di più: considerando soltanto gli impegni di pagamento, senza entrare nel merito delle scadenze, l'Inter ha addirittura chiuso in attivo questo mercato grazie a quattro cessioni molto produttive (Kovacic su tutte, ma anche Shaqiri, Hernanes e la definizione del caso Alvarez). Questo va ricordato ai profeti del 'Mancini ha avuto tutto, adesso deve vincere', che lo giudicano con lo stesso metro di Van Gaal, Benitez o Mourinho. È chiaro che in un'Europa che paga 45 milioni difensori senza infamia e senza lode come Otamendi o 80 un ragazzino come Martial si conta meno di zero, ma il campionato dell'Inter è arrivare davanti a Lazio, Napoli, Milan e Fiorentina. Non è facile, ma più di così Mancini non poteva avere da una società che non può spendere soldi nel presente. Di sicuro sta costruendo la classe media della rosa, come già fece nella sua precedente vita nerazzurra, con gli scarti dei ricchi e qualche buona intuizione. Sperando che quando si farà sul serio tocchi a lui.
Twitter @StefanoOlivari