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Totti 300: un campione - di Gianni Mura

Totti 300: un campione - di Gianni Mura

Redazione

22 settembre 2015

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Totti è un fenomeno. Meglio chiarire raddoppiando: Totti è un doppio fenomeno, di calcio e di durata. Ancora una stagione e raggiungerà Paolo Maldini: un quarto di secolo in Serie A. Se questa stagione ci sarà oppure no, non posso saperlo e forse non lo sa neanche Totti. Intanto, eccolo allenarsi con gli altri della Roma, di qualcuno potrebbe essere padre o almeno zio. Il Pupone è invecchiato, ma non ha smesso di divertirsi col pallone e già questo me lo rende simpatico. A una certa età, anche più bassa di quella raggiunta da Francesco, molti calciatori cominciano a non reggere più il trantran. Da un lato si fa sentire il peso degli anni, dall’altro si cominciano ad apprezzare le domeniche in famiglia, non in uno stadio dove, nel bene e nel male, ti gridano di tutto. Il peso degli anni lo sente anche Totti, ne sono certo, ma lo vive come un peso relativo, ancora sopportabile. E stare con moglie e figli piace anche a Totti, che presumibilmente riesce a compensare presenze e assenze. Non è il numero di ore trascorso insieme che fa classifica, ma l’intensità dell’affetto che si riesce a trasmettere. Una cosa si può escludere: che Totti giochi per soldi. Ne ha già guadagnati a sufficienza, non pochi li ha girati in beneficenza, ma non gli va che se ne parli. Gioca per passione, perché si diverte e in questo senso chiude il cerchio tra le immagini del bambinetto che inciampa sulla sabbia rincorrendo un pallone e del quasi quarantenne che vediamo con la maglia della Roma. Sul fanciullino che abita in Totti credo che Giovanni Pascoli si sarebbe sbizzarrito, ma noi cronisti di calcio, più prosaici e meno poetici, restiamo con i piedi per terra e, tutto sommato, al di là di ogni colore e campanile, non possiamo non ammirarlo. Ci sono, da anni, due correnti di pensiero che più opposte e inconciliabili non si può. La prima: la fortuna di Totti è che non s’è mai mosso da Roma. La seconda: la sfortuna di Totti è che non s’è mai mosso da Roma. Detto di sfuggita: Roma per Francesco è una casa, ma anche una prigione. Uno dei suoi desideri, quello di mangiare un gelato passeggiando per via del Corso, tale resta. È troppo noto per non creare assembramenti. Credo che sarebbe la stessa cosa a Milano, dove Berlusconi avrebbe fatto carte false pur di avere Totti, o a Napoli, o nella più fredda Torino, da cui pure arrivò nel 2002 la più inattesa proposta per spot pubblicitari. L’avvocato Agnelli per la campagna di lancio della Stilo non volle giocatori della Juve, ma Totti, visto come campione e non come portabandiera della romanità. Torniamo alla due correnti di pensiero e partiamo dalla seconda. Andando a giocare altrove, con un’altra maglia, Totti avrebbe vinto di più? Sì. Anche su scala internazionale, con relativi riconoscimenti e premi? Penso di sì. Allora, è stata una sfortuna? No, è stata una scelta. Non casuale, suppongo. D’altra parte, in tutti questi anni, quando mai Totti ha preso in considerazione la possibilità di cambiare maglia? La possibilità stava prendendo corpo nella stagione ’96-97, quando Carlos Bianchi suggeriva di prestare Totti alla Samp o di girarlo all’Ajax per avere Litmanen. Che nel frattempo, tra parentesi, è sparito dalla circolazione, mentre Totti è ancora in campo. Fu una partita con l’Ajax, guarda caso, a stabilire che Totti dovesse restare e Bianchi partire. Totti non è un grande parlatore, altrimenti avrebbe spiegato questo attaccamento a una città che lo coccola e a volte lo soffoca. Che il calciatore era il suo mestiere, mi disse in una lontanissima intervista, lo capì a 13 anni, sul campo di Wembley. Altrimenti, affermò, «avrei fatto il benzinaio». Perché proprio il benzinaio? Perché da piccolo gli piaceva un sacco l’odore della benzina. E scrivere i temi. Ma sbrodolava un po’. Più sintesi, Francesco, più sintesi, continuava a dirgli la professoressa Petricone. La sintesi l’ha raggiunta da calciatore: nella capacità di aprire il gioco con un tocco di prima è ancora il migliore. Da piccolo, ancora, la sua unica paura era di non crescere a sufficienza (come Zoff). Lo misurava Franco il tappezziere, un vicino di casa. Quel giorno, sempre con poche parole, Totti mi rivelò l’esistenza di un suo doppio. «Francesco è timido, chiuso, anche un po’ romantico. Totti è forte, istintivo e può diventare cattivo». Totti ha ridotto il raggio d’azione e sono curioso di vedere in quale posizione Garcia gli chiederà di giocare. Fino al 31 agosto il mercato è aperto e non posso immaginare arrivi di cui, mentre scrivo, si parla soltanto. La presenza di un vero centravanti (tipo Dzeko) dirotterebbe Totti alle sue spalle. Non come seconda punta, a sinistra, com’era ai tempi del primo Zeman, ma piuttosto com’era Baggio a Bologna, vicino a Kenneth Andersson. Sarebbe un ritorno da falso nueve a vero 10. E 10 è il numero giusto per Totti, son vent’anni che lo dimostra da 10 atipico, non mingherlino ma grande e grosso, e comunque sono i piedi a fare la differenza. Un vero 10 sa sempre, in genere, quand’è il momento di smettere e quindi è inutile dare consigli a Totti, anche sul modo d’impiego. Non gli converrebbe partire in panchina ed entrare nell’ultima mezzora, come facevano prima Altafini e poi Boninsegna nella Juve? Forse gli converrebbe, ma deve esserne convinto lui per primo. Altrimenti, lo vedrebbe come un accantonamento, un occhio di riguardo per il capitano, per la bandiera, per il fenomeno, occhio di riguardo derivante dal fatto che nessuno si prende la responsabilità di dirgli che è il momento di chiudere, o di accettare un dignitoso impiego part-time. Affari suoi, comunque. In ogni sport, mi piacciono i vecchi ragazzi, quelli per cui avere 40 anni è come averne due volte 20 e quindi, oltre maglie e campanili, mi prendo la responsabilità della chiusa: forza Totti. Per Guerin Sportivo Gianni Mura

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