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Testosterone da Champions League

Testosterone da Champions League

Redazione

23 settembre 2015

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Il doping di squadra nel calcio non esiste, come è stato certificato negli anni Novanta dall'autorevole laboratorio CONI dell'Acqua Acetosa (che all'epoca nemmeno lo cercava, questo il suo grande segreto), quindi esistono senz'altro ottime giustificazioni scientifiche per quel 7,7% di giocatori partecipanti alla Champions League (fra il 2008 e il 2013, quindi ognuno è libero di sospettare del club che gli è meno simpatico) con valori di testosterone anomali. Lo scoop del Sunday Times e di Ard, che hanno rivelato l'esistenza di questo studio semisegreto dell'UEFA, riguarda al momento il solo testosterone e quindi la percentuale dei sospetti dopati in base anche ad altri parametri è molto più alta. Di nostro aggiungiamo qualche annotazione sulla realtà calcistica italiana, dove i testati al termine di ogni partita sono due per squadra, come qualche anno fa, ma al contrario di qualche anno fa i loro nomi sono tenuti ufficialmente segreti (poi chi ha libero accesso agli spogliatoi vede benissimo chi si attarda per il test) nel nome di una privacy che non si applica a nessun altro campo, si pensi soltanto alle deposizioni nella giustizia sportiva e non. I nomi sono sorteggiati, ma molto raramente si tratta di personaggi di primo piano. Per sicurezza, quando il sorteggio si prevede davvero casuale, quelli proprio marci, più per vizio che per alterare le prestazioni, vengono fatti infortunare nell'allenamento di rifinitura del sabato e poi a volte ceduti all'estero. Non riportiamo informazioni di quarta mano: ragazzi sniffatori con serata regolarmente finita sotto i tavoli hanno chiuso la carriera con un percorso netto all'antidoping. Questa la prassi: sappiamo di non sapere. La smentita cavillosa della UEFA, presa in castagna come già in agosto avvenne con la IAAF (la federazione internazionale di atletica) ad opera degli stessi media, dovrebbe imbarazzare Platini, da giocatore un simbolo di chi faceva correre il pallone (e il cervello) invece delle gambe, ma anche chi l'ha scritta. Come imbarazzanti sono le zero positività degli ultimi anni, anche contro la statistica che suggerirebbe che almeno qualcuno per sbaglio ogni tanto faccia uso di sostanze vietate. Va detto che questi controlli dell'UEFA, fingiamo di dimenticarci di quelli italiani, sono fatti per squadra, come ad esempio avvenne lo scorso febbraio con il Barcellona: episodio che scatenò tante polemiche, quasi fosse una visita su commissione, ai danni (ma i danni li ha chi perde con i dopati) di una squadra nel mirino. Insomma, nessuno si è mai presentato a casa di Messi mentre sono incalcolabili le volte in cui qualche ispettore si è presentato da Lance Armstrong. Il ciclista può essere buttato giù dal letto all'alba, ma per il calciatore il riposo è sacro. La cosa strabiliante di tutta la vicenda è che i dati citati dal Sunday Times sono dati della UEFA, basati su test (solo urine...) in competizioni UEFA e rielaborati dalla stessa UEFA in 12 laboratori diversi (nessuno italiano). Poi l'assenza del cosiddetto campione B per le controanalisi, richieste dal regolamento WADA, renderebbe inutilizzabili in ogni caso questi dati a fini sanzionatori, ma rimane la questione di fondo che non è soltanto italiana. C'è la precisa volontà di lasciare in pace il grande calcio, oppio dei popoli ieri e oggi più che mai: basti pensare ai mille paletti da azzeccagarbugli che vengono messi sul cammino del passaporto biologico. Il becero della porta accanto potrebbe però chiedersi che problema c'è, se tutti si dopano alla fine si parte alla pari. Ma non tutti si dopano, non su tutti il doping ha lo stesso effetto e soprattutto non tutti hanno accesso a determinate 'centrali' scientifiche, con coperture spesso a livello statale, quindi la competizione non è sbilanciata soltanto da soldi e potere ma anche dalla medicina. Ma un volta che vediamo il pallone che rotola ce ne importa qualcosa? L'unica domanda da farsi è in fondo questa. Twitter @StefanoOlivari

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