«Pochi italiani in campo». L'allarme di Gabriele Oriali, team manager della Nazionale italiana, rigetta il motivo che sta alla base della brutta situazione nella quale versa il nostro calcio. Gli uomini ci sono, il problema è che qualitativamente lasciano un po' a desiderare. Non che gli esterofili siano da considerare forieri di bel gioco e brillantezza, tutt'altro. L'unico ricordo di molti degli stranieri passati per caso dalla Serie A è legato solamente a tutte quelle formazioni che raccolgono i bidoni con a margine i momenti epocali, magari trascorsi lontano dai campi da gioco. Ora capovolgiamo la questione ponendo alcuni esempi. Siamo sicuri che Ranocchia, all'Inter, possa fare meglio di uno dei centrali di difesa o Maggio, al Napoli, di Hysaj? La risposta dovrebbe essere evidente perché si fonda su un criterio razionale, quello del già visto. In estate la Roma necessitava di un esterno di piede mancino - a prescindere dai "doppioni" Iago Falque e Iturbe - e la scelta è ricaduta su Momo Salah. Chi, tra gli italiani, meglio dell'egiziano? Cerci, che fatica a trovare un ruolo fisso e fa panchina in una società con obiettivi ben più modesti? La normalità, nel calcio, ritiene che un allenatore schieri in campo i migliori a disposizione. Se gli stranieri superano per quantità i nostri giocatori, vuol dire che sono semplicemente più forti. E quelli buoni - rari, ma ci sono - vengono frettolosamente prelevati dalle società estere che hanno la fortuna di avere il portafogli perennemente pieno. Se c'è una colpa da dare ai club italiani è proprio questa. Se Darmian e Verratti fanno la differenza in Premier, in Ligue 1 e in Champions, vuoi che non riescano a farla in Serie A? Ma è normale che ognuno tiri l'acqua al proprio mulino, i presidenti hanno da rafforzare l'immagine dell'azienda. Sulla scelta tra il giovane italiano da valorizzare e lo straniero affermato non c'è discussione: l'importante è portare a compimento il programma prestabilito. Ovviamente non mancano le eccezioni. A Mihajlovic, finito sulla graticola, va dato merito di aver regalato una grandissima opportunità a Romagnoli. Che gioca da titolare non perché sia nato ad Anzio, ma perché ha qualità e la panchina rossonera (Alex, Mexes, Ely) al netto degli infortuni non offre sostituti all'altezza. Non si sta sminuendo Romagnoli - uno degli ultimi interpreti più interessanti del vivaio italiano -, è solo una dimostrazione del fatto che se la dirigenza avesse portato Thiago Silva e Godin (oltre i confini della fantascienza), il tecnico serbo prima si sarebbe reso protagonista di quattro capriole sotto la Sud e poi avrebbe spedito in tribuna il centrale dell'Under 21. Non ci sono più fenomeni in Italia e quelli che giocano ancora sono sull'orlo dei 40. Per inciso, nella fascia che va dai 25 ai 30 - intendiamo quella dei Messi, dei Ronaldo e, per essere più modesti, dei Suarez, dei Lewandowski, degli Aguero o Higuain, non figura nessuno lontanamente paragonabile almeno agli ultimi quattro. In questo senso sarebbe opportuno dare fiducia a Damiano Tommasi e appoggiare la sua proposta sulle seconde squadre. Anche se principalmente le cause del male nascono a monte, torniamo a giocare per strada come facevamo un tempo.
@damorirne