Il calcio è quel fantastico mondo dove, più di tutti, si concentrano luoghi comuni e frasi fatte. «Ho sempre sognato di vestire questa maglia» tradotto in «Qualcosa di bello dovrò pur dire, mi state dando 10 milioni a stagione», «Sono fiero di far parte di questo progetto» tradotto in «Non so neanche cosa sia, ma dovrebbe far felici i tifosi», «Gara decisa dagli episodi» tradotto in «Abbiamo giocato una m...., ma non ho l'onestà di ammetterlo», «Sono a completa disposizione del mister» tradotto in «Se non mi fai giocare, ti alzo mani», «L'operato dell'allenatore non è in discussione» tradotto in «Guai a te per la prossima, ti aspetta un calcio in c...», «Qui ho un contratto e mi trovo bene» tradotto in «Se stasera stesso il City mi offre un triennale da 4,5 milioni annuali, prometto di far da tata a Sterling». L'ultima sparata è di Edinson Cavani, che mai come quest'anno sogna di poter andare oltre i quarti di finale di Champions League con il suo PSG. Parla senza fronzoli di scudetto - ma quale scaramanzia - e non chiude la porta a un ipotetico ritorno: «Mi piacerebbe giocare di nuovo a Napoli, ho vissuto tre anni meravigliosi». Dichiarazioni drasticamente ridotte nel loro contenuto soltanto qualche ora più tardi: «La città rimarrà sempre nel mio cuore, ma sono del PSG e darò il massimo per questa squadra». L'ipotesi più veritiera appare l'ultima, ma non per questioni di appartenenza e di radici più o meno piantate. Cavani l'ha sparata così, figuriamoci se la voglia principale è quella di dare una mano al Napoli. È andato via all'apice della carriera giustamente, almeno secondo quanto impongono le ormai pessime logiche del pallone, e ora farfuglia di un amore non corrisposto nella sua totalità. Certo è che ogni tipo di ragionamento lascia il tempo che trova, dato che in estate molti tifosi si esprimevano a favore di un suo scambio con Higuain. Al 'Matador' va però dato atto di saper individuare il peso della riconoscenza. Non ha mai fatto mistero di aver trovato la dimensione internazionale nella squadra azzurra e non si arrabbino i parigini se diciamo che in Italia era un altro tipo di giocatore. Cominciando dal grado di leadership - al Parco dei Principi è tutto in mano al Dio Zlatan - e finendo alla straordinaria fase di copertura. Tornare? Sì. Magari a 43 anni e con uno stipendio cristiano.
@damorirne