Manolo, non proprio un nome da star. E poi fa di tutto per nascondersi. Il corpo non è ricoperto di tatuaggi - ne ha solo uno, consigliatogli dalla sorella (calciatrice e per hobby tatuatrice) Melania - e il taglio dei capelli fugge dall'irruenza dello stampino che ha plasmato le tante orride creste, uguali come soldatini in plastica sul campo casalingo di battaglia. È uno spilungone, ma non è il fisico a spaventare chi si svela dinanzi ai suoi occhi. Il mancino di Gabbiadini forza lo scrigno dei tesori più preziosi, emana un profondo senso di naturalezza e si affaccia signorile alla platea degli eletti. La seconda rete contro l'impronunciabile Midtjylland - fortunatamente qui bisogna soltanto scriverlo, o meglio incollarlo - è stata l'ennesima ostentazione di forza, l'esibizione dandistica del proprio ego, dall'esterno più volte placata e non certo per demerito. Costretta raramente, per forza di cose, a manifestarsi sul campetto, terreno verde della speranza, per l'intera durata dei giochi. Non ci sentirete parlare di "giovane promessa" - considerarlo tale a quasi 24 anni sarebbe una follia -, anche perché la pienezza di Gabbiadini è ammirevole. Ed è bruttino spendersi in elogi, continuando però a classificarlo come una riserva. Il crudele contraddittorio è il frutto della dote e del difetto di chi, adesso, sta guidando il Napoli. Sarri s'è ingegnato in un dispositivo selvaggio, incivile per gli avversari, delineato nelle sue componenti come pochi sono stati in grado di fare in Serie A. Il 4-3-3 è ormai riconoscibile e canta con personalità. Reina, Hysaj, Koulibaly, Albiol, Ghoulam, Hamsik, Jorginho, Allan, Callejon, Higuain, Insigne. La pretesa della conquista di una formazione tipo è sinonimo di chiarezza, al contrario di quanto fatto vedere - esempio più lampante - dalla Juventus, soprattutto in attacco. Guai a sfiorare una ballerina di cristallo sulle punte, una microscopica variazione potrebbe destabilizzare il gradito meccanismo. A Napoli, come a Empoli lo scorso anno. Ecco spiegato uno dei tanti punti che motivano l'affascinante figura dell'allenatore che mordicchia a bordo campo il filtro della sua sigaretta, ecco perché - purtroppo - non è ancora tempo per Gabbiadini che resta, in Italia e non da ieri, il monile della classe '91 con Insigne, Florenzi e Saponara.
@damorirne