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Il calcio rifiuta l'abusato progetto perché non esiste

Redazione

10 novembre 2015

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Beppe Iachini è un privilegiato. L'allenatore con il cappellino è riuscito, più di chiunque altro, a resistere agli sbalzi d'umore del presidente: due anni e due mesi sulla stessa panchina, quella del Palermo, mai nessuno come lui nell'era Zamparini. Il Palermo rappresenta, ormai dal 2002, il perfetto compimento dell'abusato termine calcistico "progetto". Un programma serio che la società impone al nuovo arrivato, all'interno del quale ben figurano obiettivi, giovani da valorizzare e soprattutto una sterminata quantità di tempo a disposizione per poter assemblare i giusti meccanismi, dato che i processi di osmosi - nel pallone - sono più lunghi del previsto. Scherzi a parte, c'è ancora qualcuno che crede seriamente nell'esistenza di questo fenomeno? A parte le dovute eccezioni, è chiaro, tipo Ferguson e il Manchester United fino alla data del ritiro. Prendiamo l'ultimo esempio, su gentile concessione di Sinisa Mihajlovic e l'A.C. Milan. «Non c'è oggi in Italia - le parole del serbo nella conferenza stampa di presentazione - un progetto più ambizioso di questo». E fino a qui, niente di grave. «El Shaarawy è un giocatore importante, di qualità e italiano. È un esterno, ma possiamo adattarlo a centrocampista interno, bisogna vedere la sua voglia. Lui mi ha dato la sua piena disponibilità». Talmente rilevante, il Faraone, che neanche dieci giorni ha fatto le valigie per il Principato. Questa è la dimostrazione che la pianificazione lascia il tempo che trova, le squadre sono aziende e il profitto rende sicuramente più dell'idea. Ci si riempie la bocca, quando basta un solo risultato negativo per mettere in discussione il lavoro di più mesi. Manenti - lo ricordiamo, tra le tante idiozie, anche per il fatto di essere rimasto a piedi dopo l'incontro con Pizzarotti a causa delle multe (quasi 2000 euro) mai pagate - rassicurava, gonfiandosi il petto, i tifosi del Parma, sempre con la stessa parola: «Un progetto che pensiamo di sviluppare in 5-10 anni». O anche il fallimento della prima Roma americana, con Franco Baldini in veste di direttore generale e Walter Sabatini di direttore sportivo. Luis Enrique, Bojan, Lamela, Osvaldo, Stekelenburg, Kjaer, José Angel, Gago, Borini, Borriello, tra acquisti a titolo definitivo e prestiti soltanto un settimo posto in campionato e l'addio all'Europa League ancor prima di entrare (fuori al play-off con lo Slovan Bratislava). Di quell'anno (estate 2011) rimane soltanto la gioia di aver preso Pjanic, anche se all'epoca il simbolo del nuovo movimento a stelle e strisce era considerato il 'Coco', poi passato al Tottenham. E tutto il resto perso per strada. Limitandoci a riflettere sui giocatori, come dimenticare Coman, l'augurio di Marotta ("ci sono prerogative e premesse perché diventi un titolare di questa Juventus") e il trasferimento al Bayern, sempre in virtù del progetto. Che ha, quindi, diverse sfumature oltre il rosa e il nero e non coinvolge unicamente Zamparini. Chi ha centrato il punto è la persona più imprevedibile. Ricordate Aurelio Andreazzoli, sì? «Nel calcio italiano si parte con un programma triennale che diventa sempre trimestrale». @damorirne

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