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Mondiali Under 17: pagellone e resoconto squadra per squadra

Mondiali Under 17: pagellone e resoconto squadra per squadra

Redazione

17 novembre 2015

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Emmanuel Petit (Canada 1987), Alessandro Del Piero (Italia 1991), Gianluigi Buffon e Francesco Totti (Giappone 1993), Ronaldinho, Iker Casillas, Xavi e Roman Weidenfeller (Egitto 1997), Pepe Reina (Nuova Zelanda 1999), Andrés Iniesta e Fernando Torres (Trinidad & Tobago 2001), Cesc Fàbregas e David Silva (Finlandia 2003), Toni Kroos (Corea Del Sud 2007), Shkodran Mustafi e Mario Götze (Nigeria 2009): spulciando gli archivi di questa prestigioso festival biennale del calcio giovanile introdotto dalla Fifa nel 1985 e riservato in origine agli Under 16 (il limite di età fu innalzato nel 1991), sono ben sedici i campioni del mondo senior che in passato vi hanno preso parte. Di questi, l’unico ad aver trionfato con la propria nazionale anche in tale contesto è stato il geniale brasiliano, condividendo la propria gioia con i vari Matuzalém, Geovanni e Fábio Pinto, mentre solo gli attuali interni di Real Madrid e Chelsea riuscirono ad aggiudicarsi il Golden Ball, ossia il riconoscimento assegnato al miglior calciatore del torneo. La sedicesima edizione, conclusasi l’otto novembre con un inedito derby africano nello scenario dell'Estadio Sausalito di Viña del Mar, ha ribadito il dominio dei detentori del titolo nigeriani, giunti ormai alla quinta affermazione (per gli amanti dei numeri, a corollario vi sono tre piazze d’onore; in sostanza, le Golden Eaglets hanno preso parte alla finalissima nel 50% delle occasioni, statistica piuttosto eloquente) in un albo d’oro dove il Brasile resta fermo al terzo alloro ottenuto dodici anni fa, precedendo Ghana (1991 e 1995) e Messico (2005 e 2011); Urss (1987), Arabia Saudita (1989), Francia (2001) e Svizzera (2009) completano il quadro delle squadre titolate sino ad oggi. Idealmente l’esito della spedizione cilena chiude un cerchio, commemorando nel miglior modo possibile la scomparsa avvenuta nel marzo scorso di Willy Bazuaye, membro dello staff tecnico della Nigeria sia in occasione del primo trionfo iridato nel 1985 che durante la vittoriosa marcia olimpica di Atlanta ’96, in qualità di assistente dell’olandese Jo Bonfrere. Da osservatori onesti e disinteressati, possiamo confessare che per quanto concerne il mero piano estetico e spettacolare (la media reti per partita di 2,9 - la medesima del 2009 – è stata la più bassa dell’ultimo ventennio) non si sia trattato di un torneo memorabile; come spesso accaduto in passato, infatti, lo strapotere sancito dalla precoce gagliardia fisica già raggiunta dai veementi atleti con la casacca verde ha un po’ appiattito i contenuti tecnici potenzialmente più suggestivi. Per giunta, a nostro modesto avviso il gioco armonico dello sconfitto Mali (0-2) avrebbe meritato maggior fortuna, in un panorama generale dominato da esasperati tatticismi (e, manco a dirlo, dal 4-2-3-1, modulo-base per quasi tutte le contendenti) che non dovrebbero  mai inaridire l’entusiasmo e la naturale esuberanza di ragazzini non ancora maggiorenni: l’orrenda dittatura del risultato a tutti i costi andrebbe lasciata ai “grandi”, ammesso che sia davvero così indispensabile. Verosimilmente, poi, molti dei protagonisti di queste tre settimane cilene spariranno in futuro dai radar del calcio che conta, proprio perché non sempre i talenti più promettenti riescono a confermarsi nella spietata selezione naturale dei livelli più alti. Alzi la mano chi è in grado di ricordare come sono proseguite le carriere dei ghanesi Nii Odartey Lamptey (fantomatico 'Pelé africano' premiato  come Most Valuable Player nella finora unica edizione organizzata all’interno dei nostri confini, di fronte a futuri fuoriclasse quali appunto Del Piero e Juan Sebastián Verón, per tacer di Marcelo Gallardo o Samuel Kuffour, e con tanto di approdo nel Bel Paese cinque anni più tardi da primo straniero dell'era-Zamparini a Venezia) e Daniel Addo (1993), Mohammed Amar Al-Kathiri (Oman, 1995), o perché no i più attempati William César de Oliveira (Brasile, 1985), Philip Osondu (Nigeria, 1987) e lo scozzese James Will (1989). Insomma, è francamente stucchevole dare tanta importanza al palmarès in ambito giovanile: si lasci giocare questi imberbi abbozzi di futuro liberi da cervellotiche briglie che vorrebbero simulare una parvenza di maturità (?)… E l’Italia? Assenti ingiustificati per la nona volta (il miglior risultato resta a tutt’oggi la quarta piazza raggiunta nel 1987 dall’Under 16 di Comunardo Niccolai, trascinata da Gianluca Pessotto e dalla verve di Massimiliano Cappellini e capitan Fabio Gallo, in pratica il gruppo che conquistò anche l’ultimo alloro continentale nella categoria, revocato in seguito dalla Fifa per la non eleggibilità tra i convocati di Roberto Secci), gli Azzurrini guidati dall’attuale allenatore del Pordenone Bruno Tedino hanno sprecato le loro chances di qualificazione nel corso degli Europei disputati in Bulgaria (6-22 maggio 2015), perdendo nettamente sia i quarti di finale al cospetto della Francia (0-3 senz’appello) che lo spareggio all’Arena Sozopol contro la Croazia (0-1), malgrado le accettabili prestazioni fornite dal palermitano Simone Lo Faso, l’atalantino Filippo Melegoni e la spina dorsale made-in-Milan costituita da Gianluigi Donnarumma, Andres Llamas Acuna, Manuel Locatelli e Patrick Cutrone. 1° NIGERIA [Campione del Mondo] Bilancio: 6 vittorie – 0 pareggi – 1 sconfitta Gol fatti: 23 / Gol subiti: 5 Voto: 7,5 Miglior attacco (3.29 reti per match di media, la settima più alta di sempre: da soli i nigeriani hanno segnato di più delle altre due compagini arrampicatesi sul podio), soltanto due palloni in fondo al sacco raccolti da Akpan David Udoh nelle quattro sfide ad eliminazione diretta affrontate, incetta di riconoscimenti individuali per le due pietre angolari del poderoso edificio messo in piedi con pazienza da Emmanuel Amunike in un 4-2-3-1 rimandato a memoria, il Golden Ball Kelechi Nwakali (progetto di box-to-box midfielder dall’innegabile carisma che il Manchester City ha già prenotato dall’ASJ Academy: il fiore all’occhiello è la prestazione sciorinata con il Messico in semifinale) ed il Golden Foot Victor Osimhen, dinoccolato bomber le cui uniche prerogative sembrano essere la taglia imponente (187x81) ed un intuito da opportunista nell’eludere la trappola del fuorigioco; le cifre sono dalla sua parte, avendo distribuito dieci sigilli complessivi per ritoccare il record che apparteneva al francese Sinama-Pongolle dal 2001, ma il rischio “fuoco di paglia” è dietro l’angolo (chi ha detto Souleymane Coulibaly, al netto di caratteristiche non identiche?). Tanto di cappello per uno score oggettivamente indiscutibile, impreziosito da punteggi roboanti come il 5-1 imposto ai padroni di casa, il 6-0 all’Australia, il 3-0 al Brasile o il 4-2 in rimonta ai centroamericani, per quanto una simile esibizione di forza irrefrenabile non abbia soddisfatto i palati più esigenti; d’altronde è arduo lascarsi ammaliare quando a prevalere è la clava piuttosto che il fioretto, la corsa a perdifiato in campo aperto (magari a seguito dell’ennesimo tackle sporco del frangiflutti David Enogela) rispetto alla tecnica, o il tiro al bersaglio dalla distanza (con sentiti ringraziamenti a Juliano e Romero…) a scapito di strategie elaborate, se si eccettuano le cavalcate dei terzini John Lazarus e Udochukwu Anumudu (rivedibili anzichenò nel contenere i dirimpettai di turno) alla ricerca del traversone giusto per il lungagnone stazionante negli ultimi sedici metri o gli incroci delle ficcanti ali Samuel Chukwueze (mattatore contro il Cile), Christian Ebere e il fumantino Funsho Bamgboye (Qatar Aspire Academy), imprendibile se concentrato sugli aspetti del gioco e non sulle polemiche con l’arbitraggio di turno. 2° MALI [vice-campione] Bilancio: 5 vittorie – 1 pareggio – 1 sconfitta Gol fatti: 12 / Gol subiti: 4 Voto: 7,5 Il 2015 che volge al termine sarà un’annata da consegnare ai posteri ad imperitura memoria in quel di Bamako: al terzo posto mondiale conseguito in giugno ad Auckland dall’Under 20 di Fanyeri Diarra vanno aggiunte le perle che le terribili Aiglons di Baye Ba hanno donato alla loro Federazione, sbaragliando la concorrenza interna per aggiudicarsi il primo African U-17 Championship di sempre ed illuminando otto mesi dopo la kermesse cilena con la manovra meglio strutturata tra le ventiquattro partecipanti. I balzi felini del Golden Glove Samuel Diarra e l’assennatezza dei laterali bassi Mamadou Sangare (aver limitato l’asse Sosa-Brekalo nei quarti è una medaglia al valore) e Siaka ‘Chato’ Bagayoko (piedi più educati ma minor copertura) a tutelare la resistenza della doppia diga centrale, garantita dai rozzi difensori Abdoul Karim Dante - Mamadou Fofana (insormontabili nel gioco aereo) e dallo schermo protettivo Moussa Diakité - Amadou Haidara (polmoni d’acciaio ed una botta al fulmicotone per lui) hanno condito una torta gustosa, ma la ciliegina ce l’han messa i frenetici scambi di posizione di un quartetto offensivo da urlo, cristallizzato sulla batteria di trequartisti Sidiki Maïga (il meno incisivo: troppi ghirigori) - Sékou Koita (imprescindibile raccordo tra le linee, ha sottoscritto un abbonamento con i pali prima di aggiustare la mira quando più contava, incanalando per la retta via quarti e semifinali) - Aly Malle (controllo nello stretto da leccarsi i baffi, qualche imprecisione di troppo negli appoggi e piede debole – il destro – mai adoperato, ma le sirene della Bundesliga su di lui sono ampiamente giustificate) e l’atipico vertice alto Boubacar Traoré (lucidità sotto porta pressoché sconosciuta, poco appariscente ma forse l’ingranaggio principale nei movimenti senza palla). Sospinti dall’intenzione di praticare un pressing alto molto coraggioso e partire subito a tavoletta per schiacciare nella propria metà campo gli avversari, i maliani hanno pagato il fio dell’inevitabile dispendio energetico alla distanza, intensificato dalla mancanza di ricambi all’altezza, oltre alla totale assenza di killer instinct nel concretizzare la mole di gioco creato; a mo’ di esempio, basti pensare all’esordio contro un Belgio stritolato eppure uscito indenne (0-0) da un computo totale di occasioni fissato sul 26 a 2 (!). 3° BELGIO [eliminato in semifinale] Bilancio: 4 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 9 / Gol subiti: 8 Voto: 7 – Discorso diametralmente opposto per il diesel belga del (troppo) prudente pilota Bob Browaeys, salito di giri con l’approssimarsi delle curve più tortuose dopo aver seriamente rischiato di abbandonare anzitempo l’agone nel Gruppo D, risparmiandosi l’onta di un mesto ritorno a casa solo a seguito di una fortunosa carambola impazzita nell’area honduregna (2-1) e relativa mischia furibonda, risolta dall’uomo della provvidenza Dante Rigo (PSV Eindhoven), fattosi notare poi per le abilità balistiche nelle punizioni liftate (splendida quella che ha interrotto la corsa di Costa Rica) e le verticalizzazioni istantanee. Purtroppo i due elementi in teoria destinati a scompaginare le prevedibili trame dei Diablotins, l’istintivo Alper Ademoglu (Anderlecht) e l’estroso Ismail Azzaoui (prelevato in agosto dal Wolfsburg, dopo che il Tottenham lo aveva “rapito” dal vivaio biancomalva), sono apparsi fuori forma e totalmente avulsi in un sistema improntato sul congelamento eccessivo dei ritmi. Il voto positivo che archivia la seconda partecipazione fiamminga al trofeo (come la Siria, i Jonge Duivels debuttarono in Corea Del Sud nel 2007, faticando parecchio nonostante Browaeys potesse disporre allora di Hazard e Benteke) trova la sua valenza quasi solo grazie alla stoica conquista del bronzo nella finalina con il Messico (3-2) in inferiorità numerica, a causa del black-out che è costato un’inopinata espulsione nell’arco di un quarto d’ora a Wout Faes, a onor del vero sino a quel momento il defender meno “ballerino” insieme al genkie Kino Delorge tra la lentezza esasperante di Laurent Lemoine e Rubin Seigers (più adatto da mediano), un Christophe Janssens da compitino ed un Jens Teunckens (Bruges) in versione croce e delizia: ok il colpo d’occhio, specie dagli undici metri, ma fuori dai pali è un pericolo pubblico. Ad ogni modo, la ribalta con i centroamericani se l’è presa d’impeto l’ala destra Dante Vanzeir (bocciato l’omologo Matthias Verreth del PSV, al di là della folgore con la Corea Del Sud), intento ad asfaltare Torres e Venegas, in un reparto in cui Jorn Vancamp si è lasciato preferire allo sgraziato Dennis Van Vaerenbergh, confermando le ottimistiche recensioni meritate nella UEFA Youth League da seconda punta sciupona ma pungente (abbagliante l’assist in lob per Rigo con il Mali). 4° MESSICO [eliminato in semifinale] Bilancio: 4 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 14 / Gol subiti: 9 Voto: 7 I Tricolor sono ormai una consolidata garanzia da quando nel 2005 Carlos Vela  e Giovani Dos Santos impressero di prepotenza la propria effige nel salón de la fama mundial in Perù, e non è un caso che l’estratega Mario Arteaga abbia sfiorato la terza finale consecutiva, tradito solo dallo spaesamento del guardameta Abraham Romero (LA Galaxy), mai reattivo nello sventare le conclusioni da lontano ed imbarazzante in semifinale con la Nigeria, quando si è lasciato infilare da un fiacco colpo ad incrociare senza pretese di Ebere, vanificando la precedente magia del lateral derecho Diego Cortés (sei birilli ipnotizzati ad ammirarne la discesa) per il momentaneo pareggio ed una prima frazione governata con soverchia autorità dai suoi, encomiabili nell’attentare alla giugulare africana sin dal pronti-via. E pensare che l’affiatamento degli zagueiros Joaquín Esquivel (Zacatecas: maniere spicce, letture già da smaliziato mestierante, ha annullato senza patemi anche lo spauracchio Osimhen prima che l’arbitro gli elargisse un rigore inesistente) e Francisco Venegas (Pachuca: mancino quasi da centrocampista come la riserva Bryan Salazar, molto meglio nell’impostazione da dietro che in marcatura) avevano concesso sino a quei fatidici attimi la miseria di due piccole défaillances, neanche determinanti ai fini del risultato (2-1 con la Germania nel Gruppo C e 4-1 agli ottavi sul Cile). Il poliedrico 4-3-3 dei Niños Héroes ha offerto una gustosa variazione sul tema imperante del 4-2-3-1, bilanciandosi a seconda dello spartito più adatto da recitare: originariamente connotato  sulla gestione cadenzata di un’andatura soft e indirizzata all’attendismo, ha saputo cangiare in corso d’opera con le accelerazioni dello stesso Cortes e di Ulises Torres (América) sull’altro fronte e le loro sovrapposizioni con gli extremi Claudio Zamudio e Kevin Magaña (peculiare la partenza in slalom da sinistra per convergere verso il centro, oltre agli insidiosi corner corti), imbastendo una cooperativa del gol per sopperire allo scarso feeling del puñal Eduardo Aguirre (Santos Laguna), avvezzo alle sponde o al dettare la profondità. Il segreto? Un trio di volantes con i fiocchi: il lineare e geometrico centrojás Alan Cervantes (Guadalajara), non di rado arretrato per sperimentare una retroguardia a tre e stimolare la propulsione sulle fasce tramite calibrati lanci lunghi, e due mezzali leggerine ma effervescenti nomate Kevin Lara (jolly classe 1999) e Pablo López (Pachuca), frenetica e confusionaria scheggia impazzita con timing perfetto negli inserimenti. 5° ECUADOR [eliminato nei quarti di finale] Bilancio: 3 vittorie – 0 pareggi – 2 sconfitte Gol fatti: 10 / Gol subiti: 6 Voto: 6,5 L’antefatto oscilla tra la tragedia e la farsa, l’epilogo esplora immaginifici sentieri, laddove neanche Beckett o Ionesco avrebbero osato incamminarsi. Riassumendo: in primavera la Tri di Javier Rodríguez raccoglie consensi unanimi durante il Sudamericano Sub-17, toccando vette d’intensità che si facevano attendere almeno dal 2005 e suscitando commenti entusiastici sul’avvenire luminoso dell’outsider arresasi solo ai tradizionali fenomeni verdeoro; gli scouting-reports concordano, ammirando le triangolazioni in un fazzoletto tra gli sguscianti Joao Montaño, il simil-Ulises de la Cruz Andy Casquete e lo sconosciuto Fabiano Tello, una sorta di reincarnazione del ‘Pibe’ Jorge Bolaños a giudicare dalla sfera quasi incollata agli scarpini, sarebbe il caso di investire nell’immediato su un’infornata di talenti mai vista a queste latitudini. I sospetti sollevati dall’attonito Uruguay (nella fattispecie, da coach Santiago Ostolaza), derubricati distrattamente ad invidiose recriminazioni da losers, scoperchiano però il kafkiano vaso di Pandora: quel trio apparso illegale sul piano prestazionale lo è davvero ma per banali questioni anagrafiche, giacché han truccato i documenti e si dilettano a dettar legge e rubar caramelle in mezzo a bambini del 1998, loro che son nati tre anni prima ed hanno già oltrepassato il giro di boa della maggiore età. I controlli “tempestivi” degli organi di vigilanza (?) Conmebol colgono poi un altro aspetto grottesco: sei tra i ventuno calciatori della rosa non risultano neanche registrati all’anagrafe statale, essendo colombiani introdottisi a suo tempo clandestinamente nel Paese attraversato dall’equatore. Alla luce di un pastrocchio che minerebbe qualsivoglia credibilità istituzionale, la FIFA risponde picche, rigettando ogni legittimo ricorso delle squadre eliminate e dichiarando ammissibile la demenziale linea difensiva pervenuta da Guayaquil: “Non siamo colpevoli, non potevamo sapere ed anzi siamo stati noi ingannati e danneggiati” (traduzione dall’avvocatese). Gli untuosi agganci di Guillermo Saltos han colpito ancora, e così le uniche squalifiche castigano i diretti interessati (un anno di stop da ogni attività agonistica per Casquete - il quale, stando alle dichiarazioni dei legali, pare abbia tentato addirittura il suicidio -  e sei mesi per gli altri due), consentendo al tremendismo atletico emerso da un 4-4-2 ben oliato nei propri meccanismi di ergersi ad impronosticabile paladino di un’America Latina altrimenti modesta. In coabitazione col più preciso Joel Quintero (Emelec), il beque Jean Peña ha fatto rimpiangere oltremodo l’assenza di Francisco Obando, mentre i tanto attesi delanteros Washington Corozo e Jhon Pereira (Norte América) hanno funzionato solo a tratti; positiva la cadena izquierda imbastita da Yeison Guerrero (da antologia la saetta che ha sbloccato il punteggio con l’Honduras, una sassata quasi fotocopiata dal compañero de equipo all’Independiente del Valle Juan Nazareno ai danni della Russia) e Pervis Estupiñan (LDU Quito), lateral dal vigoroso cambio di passo ed una strabiliante facilità nell’arrivare sul fondo che nei pressi della Casa Blanca ha già indotto a scomodare prematuri paragoni con Luis Capurro. Ah, siamo in debito sul finale della vicenda: a chi è stato attribuito il FIFA Fair Play Award a margine di Cile 2015? Avete indovinato: Ecuador, of course. Giù il sipario e standing ovation, prima che sopraggiungano sul palcoscenico Godot e le capitaine des pompiers… 6° BRASILE [eliminato nei quarti di finale] Bilancio: 3 vittorie – 0 pareggi – 2 sconfitte Gol fatti: 5 / Gol subiti: 5 Voto: 5,5 La prima vera, grande delusione della manifestazione. Gli esperimenti di Carlos Amadeu hanno corrisposto scarsi dividendi, sottolineando la povertà qualitativa di un impianto male assortito, avviluppato in un 4-2-3-1 stagnante e sfilacciato, contraddistinto da un elettroencefalogramma piatto. In realtà era preventivabile che la non azzeccatissima mossa di introdurre una ponta de lança possente come Luís Henrique (Botafogo: irreprensibile nel sacrificio ma poco intergrrato, si salva procurandosi furbescamente e trasformando il penalty con la Nuova Zelanda agli ottavi) comportasse preoccupanti crisi di rigetto, intasando gli spazi in cui il promesso sposo dell’Udinese Leandrinho (Ponte Preta: si è intravisto solo per un gioiello dal limite contro l’Inghilterra e qualche lampo da “tagliante” con la Guinea) era solito lanciarsi nel Campeonato Sudamericano in Paraguay, evitando di concedere punti di riferimento per poi finalizzare di giustezza gli invitanti cioccolatini dispensati da Evander (Vasco da Gama), utilizzato stavolta con il contagocce per problemi fisici. L’evanescenza di Arthur, Lincoln e del nefasto Geovane hanno ultimato il capolavoro, dando vita alla fase offensiva verdeoro più sterile dal 1987 ad oggi, al pari di quel caos disorganizzato che nel 2009 riuscì nella fantasmagorica impresa di inaridire Neymar; magari un maggior minutaggio per il tascabile furetto Matheuzinho (América-MG) avrebbe fatto comodo. Nel denso traffico di un ritmo (?) nel meio-campo da moviola più che bailado, orfano peraltro del giudizioso Riuler (non all’altezza Liziero o Guilherme), qualche idea meno insipida è passata per la mente di Andrey (Vasco da Gama), mentre per non infierire sulla terza linea ci limitiamo a stendere un velo pietoso sui tronchi di legno Éder Militão e Ronaldo, il goleiro con la saponetta tra i guanti Juliano e le nocive diagonali di Rogério e Kléber (Flamengo, se non altro apprezzabile nella spinta da lateral direito puro). 7° CROAZIA [eliminata nei quarti di finale] Bilancio: 2 vittorie – 2 pareggi – 1 sconfitta Gol fatti: 7 / Gol subiti: 5 Voto: 7 – Si scrive Croazia, si legge Dinamo Zagabria. Anche laggiù tra le Ande la “succursale de facto” del florido vivaio plavo ha vissuto l’amara contraddizione di convincere molto più del Belgio in termini assoluti, raccogliendo però risultati peggiori; se a Burgas la strada verso le semifinali era stata sbarrata dal solito penalty-saver Teunckens (e da un elementare controllo mancato da Branimir Kalaica nei tempi regolamentari), stavolta lo scintillante Mali ha posto troppo in alto l’asticella da superare. Ci si può comunque consolare con l’aver rappresentato l’unico intoppo nella marcia da schiacciasassi della Nigeria (2-1 a Coquimbo), soggiogata nel face-to-face valevole per il Gruppo A dalla miglior risorsa a disposizione nel 4-2-3-1 di Dario Bašić, ossia le avvolgenti folate della catena di sinistra Borna Sosa (martello di fascia in permanente proiezione avanzata) - Josip Brekalo (umorale solista dalle intuizioni sopraffine), vieppiù arricchita dallo strategico decentramento del fantasista Nikola Moro ed il precipuo repertorio di finte ubriacanti (nel caso, chiedere al disorientato John Lazarus) in appoggio al centrattacco dai colpi interessanti Karlo Majić. Il fianco destro, invece, è stato sovente foriero di taluni imbarazzi: abbastanza inconcludenti gli effetti speciali di Davor Lovren sulla trequarti, mentre il forzato adattamento di Marin Šverko (Karlsruhe) è stato accantonato in favore del parimenti scialbo Matej Hudećek, osservando i tremendi quaranta minuti iniziali con gli Stati Uniti (2-2), durante i quali il perticone del Sassuolo Martin Erlić ha collezionato una non invidiabile serie di imprecisioni accanto al concreto Vinko Soldo (stoico negli ottavi con la Germania al pari di Adrian Šemper, portiere con potenzialità da esplorare a fondo), riconsegnando di fatto il proprio posto al suddetto Kalaica, schierato discutibilmente sin lì da partner in mediana del randellatore Neven Đurasek. Poca gloria anche per l’altro “italiano” Dino Halilović (a giorni dovrebbe arrivare l’ufficiale tesseramento con l’Udinese), mai sceso in campo nel corso di questa avventura. 8° COSTA RICA [eliminata nei quarti di finale] Bilancio: 1 vittoria – 2 pareggi – 2 sconfitte Gol fatti: 4 / Gol subiti: 5 Voto: 6,5 Quarti di finale raggiunti per la quarta volta in sei partecipazioni, una selezione Sub-20 che nel 2009 fallisce l’appuntamento con il podio iridato solo a causa di una sfortunata lotteria dei rigori ed una Nazionale Maggiore che in Brasile vede sfumare un inedito accesso tra le prime quattro squadre del globo (ancora) dagli undici metri, sgominando presunte corazzate nello stupore generale; curriculum alla mano, sarebbe il caso di dare finalmente credito alla crescita esponenziale del fútbol tico nel’ultimo quindicennio, rimuovendo dai report la stantia etichetta di ‘Cenerentola’. Il filo conduttore che parte dalle gesta della premiata ditta Alonso-Azofeifa in quel di Malabar (2001) ed arriva sino all’incrocio dei pali baciato da Jean Rigo a Concepción è la maniacale organizzazione tattica ed il perfezionamento di un 3-5-2 duttile che sin dai tempi di Alexandre Guimarães è divenuto un marchio di fabbrica. L’argentino Marcelo Herrera si è mosso nel medesimo solco, cementando il consueto elastico con la densità della linea a cinque su el capitán Luis Hernández (Saprissa), propositivo carrilero di sinistra, e sul tignoso Pablo Arboine, estremo baluardo posto a protezione dello scenografico Alejandro Barrientos (disposizione della barriera e presa i fondamentali da correggere negli allenamenti). Nell’altro nucleo centrale, quello impiantato nel cuore del rettangolo verde per garantire equilibrio all’unisono con il rientro dei lateral, tra il caparbio fulcro Eduardo Juárez ed i conduttori delle transizioni offensive Barlon Sequeira e Jonathan Martínez ha rubato l’occhio il vellutato mancino dello specialista sui calci piazzati, Roberto Córdoba (AD San Carlos), acuto nell’intravedere i corridoi di passaggio dischiusi dal filiforme falso nueve Andy Reyes (1999, Carmelita, meno prolifico ma più intrigante del collega Sergio Ramírez) e dal fastidioso Kevin Masis, mini-satanasso inesauribile nell’aggredire in pressing qualsivoglia avversario. 9° FRANCIA [eliminata negli ottavi di finale] Bilancio: 3 vittorie – 1 pareggio – 0 sconfitte Gol fatti: 14 / Gol subiti: 4 Voto: 5,5 Atterrata in Sudamerica dopo le scintillanti esibizioni agli Europei, vinti a mani basse con il tocco da maestri di un 4-1 inflitto alla Germania nella finalissima di Burgas, la selezione transalpina era unanimemente considerata dagli addetti ai lavori come una delle candidate più autorevoli al trionfo iridato, eppure le presuntuose ambizioni dell’organico complessivamente più dotato si sono arenate sugli scogli del pragmatismo costaricense. L'aspetto che ha lasciato più perplessi è stato il modo in cui i Bleuets hanno fallito la loro missione, gigioneggiando senza costrutto con tocchetti sterili e leziosi virtuosismi, dall'alto di una presunta superiorità che ha faticato a palesarsi se non in un girone (chiuso a punteggio pieno) oggettivamente agevole, per tacer dell’assenza di un gioco corale, giacché ogni interprete in campo pregiudicava il proprio rendimento con velleitarie soluzioni solipsistiche. Cionondimeno, questa generazione potrà comunque riservare uno stimolante ricambio in prospettiva: Timothé Cognat è un regista dal futuro assicurato (per quanto nel Lione agisca da ala destra), Nicolas Janvier ha discrete intuizioni tra le linee, Bilal Boutobba, Jeff Reine-Adelaïde e Nanitamo Ikoné sono ailier incontenibili in progressione (se in giornata), in un pacchetto arretrato atleticamente straripante (Doucouré e Upamecano) ma tutto da scolarizzare nei concetti, con un gardien de but che continua a farsi notare più per il cognome che per le effettive capacità (Enzo Zidane, ça va sans dire), si è salvato proprio il piccoletto di turno, il latéral droit Alec Georgen. Inspiegabile l’involuzione di Odsonne Edouard (PSG), dominante avant-centre e capocannoniere in Bulgaria apparso imbolsito e svogliato ad appena sei mesi di distanza. 10° RUSSIA [eliminata negli ottavi di finale] Bilancio: 2 vittorie – 1 pareggio – 1 sconfitta Gol fatti: 6 / Gol subiti: 5 Voto: 6 – Andrei Zakharov, chi era costui? Forse una iattura, avrà ruminato tra sé Mikhail Galaktionov seduto sulla sua panchina… Spiace infierire su un misconosciuto sbarbatello tradito magari dall’emozione o semplicemente da uno scarno bagaglio tecnico, ma l’esibizione-horror sfoderata contro l’Ecuador (1-4 il pesante passivo, causato da almeno tre palesi errori individuali) ha chiarito ulteriormente quanto la figura del centrale Aleksei Tataev, squalificato, fosse fondamentale per registrare la retroguardia. Per giunta, l’assenza del prospetto del Krasnodar (altresì meno sicuro rispetto agli Europei: tra le ingenuità riscontrate nelle sue performances, spicca il rigore regalato ai costaricensi e neutralizzato dal gigante Aleksandr Maksimenko) ha in sostanza scombussolato l’intero assetto difensivo, con lo spostamento in mezzo del discreto laterale destro Semen Matviychuk ed il varo in sua vece del mediano Konstantin Kotov, non a suo agio in tale veste. Nel complesso, la sino a quel momento solida Sbornaja avrebbe potuto ambire quantomeno all’accesso tra le prime otto valorizzando i propri punti di forza, in primis i due centrocampisti scuola-Lokomotiv Georgi Makhatadze (metronomo di lotta e di governo) ed Ivan Galanin, dinamico guastatore molto reattivo nel supportare in verticale lo scaltro centravanti Fedor Chalov (dotato di buona coordinazione e fiuto per il gol). Tra gli esterni, più che i tagli in diagonale di Dmitri Pletnev e Yegor Denisov, protagonisti in ambito continentale, ha impressionato l’anarchico cavallone imbizzarrito Aleksandr Lomovitskiy, supportato a sinistra da Danil Krugovoi. 11° COREA DEL SUD [eliminata negli ottavi di finale] Bilancio: 2 vittorie – 1 pareggio – 1 sconfitta Gol fatti: 2 / Gol subiti: 2 Voto: 6 Le eccessive aspettative dei catalani causano la rovina di Lee Seung-Woo, chioserebbe Cornelio Nepote. Le luci dei riflettori erano tutte puntate sul fantomatico “nuovo Messi” scovato nell’Incheon United ed il cui trasferimento è costato un contenzioso giuridico al Barcellona, ma per ironia della sorte l’unica giocata accostabile al fuoriclasse argentino l’ha azzeccata con un pizzico di fortuna il cursore Kim Jin-Ya, il quale lanciandosi con un tunnel sul pigro Lincoln da posizione defilata ed eludendo in rapida successione la scivolata tardiva di Rogerio e l’uscita in aiuto di Éder Militão ha idealmente trasformato per qualche frazione di secondo la catena sinistra del Brasile in quella tuttora incredula del Bilbao, una sortita utile per servire l’intraprendente Lee Sang-Heon (avrebbe meritato maggior considerazione nello schieramento-tipo, magari agendo più largo al posto del disciplinato ma impalpabile Park Sang-Hyeok), sagace a sua volta nel lavorare sulla linea di fondo un pallone da smistare all’indietro per l’accorrente Jang Jae-Won. Gli infortuni che hanno privato i Taegeuk Warriors della spina dorsale costituita dal portiere Moon Jung-In (dignitosamente rimpiazzato da Ahn Joon-Soo), lo sweeper Choi Jae-Young (l’autoritario Lee Sang-Min ha dovuto guidare la terza linea quasi da solo, vista la presenza costantemente fuori posizione di Lee Seung-Mo), Lee Yong-Eon e soprattutto dall’altro dribblomane blaugrana Jang Gyeol-Hee hanno indotto Choi Jin-Cheul a varare uno scolastico game-plan in cui una ragnatela asfissiante in fase di non possesso avrebbe poi dovuto esaltare in contropiede il succitato numero dieci, salito in cattedra a sprazzi solo contro la Guinea in concomitanza con le percussioni sull’out mancino del terzino Park Myeong-Su, per quanto il graffio che ha condannato gli africani sia arrivato solo a tempo scaduto da una combinazione tra You Ju-An e l’appena subentrato Oh Se-Hun, velenosi nel punire uno svarione in disimpegno di Mohamed Camara. Il destino, peraltro, gli aveva fornito un’ultima occasione dagli undici metri per riaprire l’ottavo contro il Belgio, sprecata però malamente sparacchiando la sfera tra le braccia di Teunckens. 12° GERMANIA [eliminata negli ottavi di finale] Bilancio: 2 vittorie – 0 pareggi – 2 sconfitte Gol fatti: 9 / Gol subiti: 5 Voto: 6 Per certi versi il cammino dei ragazzi di Christian Wück ha confermato le impressioni avute agli Europei di Bulgaria 2015, ovverossia un ritorno al passato rispetto agli standard del calcio teutonico attuale; questa solida ma invero poco fantasiosa versione della Jugend Mannschaft, infatti, costituisce una netta inversione di tendenza rispetto alla lungimirante mentalità offensiva che ha preso il sopravvento nei settori giovanili locali da almeno un decennio a questa parte, ben rappresentata dall’effervescente ultima apparizione nel torneo (3.4 reti a partita l’impressionante media toccata allora dal gruppo di Steffen Freund) che risaliva al 2011. La facilità irrisoria con cui l’infaticabile stantuffo di destra Felix Passlack e l’intermittente trequartista centrale Salih Özcan (in grado di spostarsi anche a sinistra al posto dell’anonimo Mats Köhlert, in modo da lasciar spazio nella propria casella al prolifico ma ancor grezzo Niklas Schmidt) avevano messo in croce i pacchetti arretrati di Australia (4-1) e Argentina (4-0: una sorta di deja-vu sul piano tattico della mattanza ammirata in Sudafrica a livello senior nel 2010), unite al filtro assicurato in mediana dal doble pivote Niklas Dorsch-Vitaly Janelt (tempismo nell’interdizione nobilitato da un sinistro essenziale ma chirurgico), coppia di rara completezza nel lotto delle partecipanti, ed alla puntualità sotto rete di Johannes Eggestein, avevano illuso sul reale potenziale dei tedeschi, a cui è mancato l’estro nell’ultimo passaggio per scardinare l’accortezza del Messico (1-2) ed evitare il fatale accoppiamento con una Croazia cinica e spietata (0-2). 13° CILE [eliminato negli ottavi di finale] Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 7 / Gol subiti: 11 Voto: 5,5 In un torneo in cui la prestanza fisica ha giocato un ruolo determinante non era difficile ipotizzare già alla vigilia che la stazza ridotta dei padroni di casa potesse costituire un handicap insormontabile, malgrado il presunto vantaggio dell’ambiente amico. Esplicativo in tal senso il secondo match del Gruppo A, in cui più che ad una sfida tra la Rojita ed i super-atleti nigeriani (1-5 l’inequivocabile esito) è sembrato di assistere allo scontro impari tra un peso massimo che abusava di un welter (ad esser magnanimi);  son bastati ventidue secondi (!) dal calcio d’inizio all’incontenibile Osimhen per abbattere con una spallata Camilo Moya (troppo fragile la catena di centro-destra formata tanto con Diego González quanto con il pessimo Simón Ramírez) ed indirizzare la gara servendo su un piatto d’argento l’assist a Chukwueze, il quale dal canto suo ha trascorso il resto della gara ad umiliare in velocità il dirimpettaio Diego Soto e le chiusure sempre in ritardo di Juan José Soriano, mediocre rincalzo dell’infortunato Fabián Monilla benché fosse uno dei pochi cileni attrezzati di muscoli e centimetri. Per il resto, il cambio di gestione dall’argentino Alfredo Grelak a Miguel Ponce ha portato qualche sensibile miglioramento rispetto al disastroso Sudamericano del marzo scorso, specie grazie alla duttilità del tuttocampista Yerko Leiva, alle visioni oniriche dello scricciolo Marcelo Allende (1999, Cobreloa) ed ai movimenti a venire incontro dell’elegante delantero Gabriel Mazuela (Universidad de Chile), utili a dischiudere gli spazi per gli inserimenti dell’estroso Gonzalo Jara e dell’ossesso Luciano Díaz, promessa del Colo-Colo. 14° COREA DEL NORD [eliminata negli ottavi di finale] Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 3 / Gol subiti: 7 Voto: 6 + I campioni d’Asia in carica hanno legato anche stavolta le proprie fortune alla coppia che già il 20 settembre 2014 firmò una rimonta da applausi nel drammatico derby con la Corea Del Sud al Rajamangala Stadium di Bangkok (2-1), regalando il secondo successo continentale alla nazionale Chollima di categoria nell’ultimo lustro; quasi tutti gli schemi approntati da Yon Kwang-Mu, in soldoni, si basavano sulle iniziative dalla destra di Choe Song-Hyok e sul prezioso lavoro spalle alla porta della prima punta Han Kwang-Song, abile a far reparto da solo ed utilizzare con intelligenza il fisico nel gioco aereo per raccogliere i cross dalla banda mancina del fluidificante Choe Jin-Nam. Entrambi i giocatori del Chobyong Sports Club, invero, si sono dimostrati molto più abili in fase di preparazione piuttosto che nella mera finalizzazione, e non a caso gli unici gol su azione sono nati dalla verve dell’attaccante di scorta Jong Chang-Bom (innegabile il suo zampino nella vittoria di misura sulla Costa Rica), inizialmente accantonato per concedere fiducia all’unico elemento della rosa militante al di fuori della penisola coreana, Ryang Hyon-Ju  (Tokyo Korean High School). L’esigenza di compattare i settori in distanze ridotte si è rivelata come un’arma a doppio taglio, giacché i centrali difensivi Kim Wi-Song e capitan Jang Song-Il (esiziale la sua assenza per squalifica nel pesante rovescio contro il Mali agli ottavi) si sono lasciati spesso sorprendere a tergo dai lanci lunghi avversari, mettendo in evidenza le insicurezze in uscita del portiere Ri Chol-Song e le diagonali quantomeno naïf del terzino Ri Kuk-Hyon. 15° NUOVA ZELANDA [eliminata negli ottavi di finale] Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 3 / Gol subiti: 8 Voto: 6 – Paradossalmente, proprio laddove mancavano individualità di spicco e ci si affidava esclusivamente alla forza mentale (ed atletica) del collettivo si è assistito ad una sorta di one-man-show, tanto nel bene quanto nel male; il laterale basso di sinistra James McGarry, difatti, ci ha messo quindici minuti per spianare la strada dinnanzi alla Francia nel match inaugurale (1-6) con un goffo tentativo d’anticipo che ha colto impreparato Michael Woud (1999, Sunderland: senso della posizione affatto inadeguato, ma riflessi determinanti nel mantenere la porta inviolata sia nella ripresa contro la Siria che di fronte ai disordinati assalti verdeoro negli ottavi), salvo poi sfruttare l’iniziativa di Logan Rogerson (unico kiwi insieme a Sarpreet Singh in grado di dare del tu al pallone) per interrompere la striscia-record di sei partite consecutive senza segnare che per gli Young All Whites durava da México 2011. Non contento, il biondo virgulto dei Wellington Phoenix ha dapprima graziato il Brasile calciando un rigore alle stelle per poi regalare quello decisivo con un ingenuo fallo commesso quando l’arbitro era già pronto a decretare la fine delle ostilità (0-1). D’altronde era difficile pretendere miracoli da una compagine in cui gli attaccanti son più efficaci nel battere rimesse laterali lunghe (Connor Probert, non a caso dirottato sulla fascia) ed ingaggiar duelli a furia di sportellate con i marcatori avversari, finendo peraltro spesso e volentieri in fuorigioco (Lucas Imrie: forti sospetti di irregolarità anche sul gol in extremis che ha mandato a casa il Paraguay), piuttosto che proteggere la sfera per alzare il baricentro. 16° AUSTRALIA [eliminata negli ottavi di finale] Bilancio: 1 vittoria – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 3 / Gol subiti: 11 Voto: 5,5 Sopravvissuti per il rotto della cuffia al triplice impegno in calendario nel Gruppo C, i Joeys hanno strappato il pass verso gli ottavi come ultima delle migliori terze classificate, ma non avevano ancora fatto i conti con le scorribande tumultuose della Nigeria (0-6 l'inappellabile verdetto dell'Estadio Sausalito di Viña del Mar), incappando nella serata da incubo del marcatore Kye Rowles, protagonista suo malgrado di quella che è stata in effetti la peggior prestazione individuale della competizione. Il lungocrinito prodotto del FFA Centre of Excellence di Canberra aveva già destato parecchie perplessità durante il debutto con la Germania (1-4), costringendo Tony Vidmar a ridisegnare l’undici titolare con l’arretramento da battitore libero di Joshua Laws (Fortuna Düsseldorf) innanzi all’affidabile goalkeeper Duro Dragicevic (classe ’99 di origini serbe) e la contemporanea bocciatura sul lato sinistro di Panos Armenakas (diventato grazie all’Udinese nel 2014 il più giovane australiano a firmare un contratto professionistico per un club appartenente alle top five leagues europee), colpevole di aver abbandonato a sé stesso il futuribile terzino Jackson Bandiera in fase passiva; contro il Messico (0-0), infatti, è stato schierato dal primo minuto il diligente Nicholas Panetta, doppiettista e uomo-qualificazione a scapito dell’Argentina (2-1) con l’involontaria collaborazione dell’arquero Franco Petroli. A dispetto del tanto reclamizzato Jake Brimmer (Liverpool), in mediana han convinto maggiormente le geometrie di Joe Caletti, mentre davanti Cameron Joice ha avuto poche chances di andare al tiro. 17° PARAGUAY [eliminato nella fase a gironi] Bilancio: 1 vittoria – 0 pareggi – 2 sconfitte Gol fatti: 8 / Gol subiti: 7 Voto: 5 Aver disputato forse la partita più spettacolare del torneo (3-4 strappato dai transalpini a seguito della memorabile girandola di emozioni – ed orrori difensivi… - che ha deliziato gli astanti all’Estadio Regional de Chinquihue di Puerto Montt) non può cancellare il suicidio sportivo messo in atto tre giorni più tardi al cospetto dei modesti neozelandesi, favoriti dall’inopinata decisione azzardata da Carlos Jara Saguier di approntare un massiccio turnover in vista dei cimenti ad eliminazione diretta, di fatto mai arrivati. I rimpianti magari non scalfiranno l’immagine di autentico santone guadagnata sul campo tra Asunción ed il Messico dal sesto esponente di una dinastia familiare di ben sette calciatori, peraltro artefice del portentoso argento olimpico guaraní ad Atene 2004 nel suo percorso da entrenador, ma rimane la sensazione di aver sprecato una ghiotta occasione giacché sarebbe stato sufficiente un pareggio per passare il turno, alla luce del comodo esordio con la Siria (4-1). L’alternanza in mezzo ai pali tra i due incerti Gabriel Perrotta e Miguel Ángel Martínez non ha sconvolto le gerarchie tanto quanto la rinuncia al laterale di spinta Rodi Ferreira (instancabile pendolino sul binario destro), lo smantellamento del terzetto di centrocampo edificato sul perno Arturo Aranda (imprescindibile seppur compassato volante de contención), stavolta non scortato dalle mezzali Cristian Paredes e Jorge Morel (sempre puntuali le sue sovrapposizioni sulla sinistra), e l’inspiegabile riposo imposto al duo del Cerro Porteño Julio Villalba e Sergio Díaz, esaltante negli scambi stretti con il sodale di club David Colmán. 18° INGHILTERRA [eliminata nella fase a gironi] Bilancio: 0 vittorie – 2 pareggi – 1 sconfitta Gol fatti: 1 / Gol subiti: 2 Voto: 4,5 Idee poche e ben confuse, mancanza di collaborazione tra i reparti, con un assetto apparentemente diviso in compartimenti stagni, il tutto condito da una condizione fisica deficitaria, quantomeno in rapporto alla tangibile sensazione che la spia della benzina lampeggiasse paurosamente allo scollinare dell’ora di “gioco” (o presunto tale…): i presupposti per invitare il CT Neil Dewsnip sul banco degli imputati ci sarebbero tutti, al netto di qualche oggettiva attenuante. Tra queste, la più credibile è senz’altro quella legata al forfait dello stopper Reece Oxford, ormai inserito in pianta stabile nelle rotazioni del West Ham da Slaven Bilić e sostituito come peggio non si potrebbe da Ro-Shaun Williams (Manchester United) al fianco del Villan Easah Suliman, una coppia lenta e mal assortita che ha chiamato più volte agli straordinari Alfie Whiteman, goalkeeper dalla stile rivedibile ma spericolato quanto basta ed efficace nelle uscite basse (vedasi gli interventi che hanno mortificato le velleità del guineano Ives Camara), forse l’unica nota lieta del pacchetto arretrato al pari del laterale destro James Yates, più intraprendente dell’intimidito Jay DaSilva sul fronte opposto. L’assoluta inconsistenza in fase di costruzione palesata da Tom Davies, Herbie Kane e Trent Alexander-Arnold e le difficoltà incontrate dal macchinoso Stephy Mavididi nel fungere da riferimento centrale nell’area di rigore ha finito con l’accentuare la dipendenza dei Three Lions dagli esterni d’attacco, l’intermittente Chris Willock (Arsenal) ed il più pulito ed ispirato (benché egoista) Marcus Edwards, enfant prodige del Tottenham. 19° GUINEA [eliminata nella fase a gironi] Bilancio: 0 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 2 / Gol subiti: 5 Voto: 5,5 A vent’anni esatti di distanza dalla toccata e fuga in Ecuador, anche stavolta l’urna non è stata particolarmente benevola per suggellare il ritorno sul proscenio mondiale; per giunta, il Brasile si è confermato essere quella stessa bestia nera che già nel 1985 negò ai ragazzi di Chérif Souleymane un incredibile bronzo a Pechino. Sulla falsariga di quanto accaduto a Niamey lo scorso inverno, la Syli Cadet di Hamidou Camara sembra vivere in una sorta di simbiosi con i coetanei del Sudafrica; sbarcate entrambe in Cile con le promettenti credenziali di uniche compagini all’interno del proprio contesto continentale in grado di incartare con un’accorta organizzazione i debordanti atleti nigeriani, hanno concluso il loro viaggio con lo stesso piazzamento finale seppur in gironi diversi, figlio del medesimo bottino di punti e soprattutto di reti fatte, inversamente proporzionale alla mole di occasioni create (circa venti conclusioni a partita verso lo specchio della porta avversaria). La produzione offensiva era sì prevalentemente basata sulle ripartenze, anche a causa dell’accantonamento dopo la prima frazione con l’Inghilterra del tocco morbido in cabina di regia assicurato da Abdoul Karim Conté (fulgida promessa dell’Aspire Academy in Senegal) per inserire accanto all’equilibratore Alseny Soumah l’altrettanto prestante Morlaye Sylla (voto 2 per le doti recitative: patetico lo svenimento simulato per ottenere l’espulsione del brasiliano Lincoln), pregiudicando il possesso palla nel settore nevralgico del campo, ma la frenesia nei momenti cruciali e la mancanza di un bomber hanno in parte vanificato le lodevoli iniziative di Yamadou Touré, Naby Bangoura e Jules Keita, la freccia più acuminata nella faretra guineana. 20° SUDAFRICA [eliminato nella fase a gironi] Bilancio: 0 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 2 / Gol subiti: 5 Voto: 5,5 L’unica debuttante presentatasi ai nastri di partenza del gran ballo iridato era l’Amajimbo di Molefi Ntseki, la cui gestione del materiale a disposizione, invero non di primissima scelta, ha generato scetticismo; la scarsa inventiva del roster, razionale nel settore nevralgico con l’organizzatore Athenkosi Dlala ma piuttosto sterile sulla trequarti avanzata, se si eccettua qualche pretenzioso tentativo dalla media distanza di Sibongakonke Mbatha e capitan Nelson Maluleke, ha suggerito la costante ricerca di un equilibrio che a conti fatti si è rivelata controproducente, sacrificando le due migliori pedine dello scacchiere tattico nell’ultimo CAF U-17 in Niger sull’altare della prudenza. Il fluidificante destro Reeve Frosler (piede morbido sui calci piazzati e discreta propensione al cross: occhio a lui), difatti, è stato costretto ad adattarsi sul binario opposto per mettere in atto al contempo l’inserimento del meno spregiudicato Nqoi ed il taglio definitivo dalla formazione titolare di Notha Ngcobo, classe ’99 poco ligio al dovere in fase passiva ma sempre disponibile nell’accompagnare la manovra d’attacco, vedasi il Copa Coca-Cola International Camp disputato a Brandeburgo nel luglio scorso. La scelta, peraltro, ha aggravato ulteriormente l’isolamento della generosa seppur sprecona prima punta Khanyisa Mayo (figlio della gloria locale Patrick), tanto bravo nel dettare il passaggio in profondità quanto poco lucido nella finalizzazione. Da segnalare infine il pittoresco goaltender Mondli Mpoto, al quale si consiglia di riesaminare l’interpretazione moderna del ruolo da improbabile novello Neuer… 21° STATI UNITI [eliminati nella fase a gironi] Bilancio: 0 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 3 / Gol subiti: 8 Voto: 4,5 La montagna ha partorito (per l’ennesima volta) un topolino; da tempo immemore un hype ingiustificato sull’emergente soccer a stelle e strisce lascerebbe presagire mirabilie dagli baby-yankees, eppure nonostante si tratti della Nazionale più presente alla manifestazione insieme al Brasile (quindici gettoni raccolti su sedici) l’unica versione davvero competitiva resta quella che nel lontano 1999 in Nuova Zelanda si arrampicò sino alle soglie del podio, con un'ossatura basata su Oguchi Onyewu, DaMarcus Beasley e il ‘Golden Ball’ Landon Donovan. Di sicuro non ha aiutato il rendimento dei pachidermici centrali difensivi Trusty, Arellano e Danny Barbir (origini rumene, a Viña del Mar si è intuito perché nel gennaio 2014 sia stato scartato dal Manchester City, salvo poi accasarsi al West Bromwich Albion), in perenne difficoltà negli uno contro uno benché fossero coperti nel 4-2-3-1 voluto da coach Richie Williams dal lavoro in interdizione dell’arcigno Eric Calvillo, incaricato di abbassarsi in concomitanza con le (rare) sgroppate sulla sinistra del full-back John Nelson ed al contempo occuparsi del recupero della sfera per smistarla immediatamente ai tre elementi tecnicamente più dotati, in prima battuta al deep-lying playmaker Alex Zendejas, a sua volta costretto a supportare i trequartisti Luca de la Torre e Christian Pulisic (ambidestro guastatore tra le linee del Borussia Dortmund, decisivo nella conquista del B-Junioren Meisterschaft 2015) per rifornire il potente Brandon Vázquez, apparso più concreto dell’omologo Haji Wright e dei guizzanti ma fumosi Joe Gallardo e Joshua Perez (Fiorentina). 22° SIRIA [eliminata nella fase a gironi] Bilancio: 0 vittorie – 1 pareggio – 2 sconfitte Gol fatti: 1 / Gol subiti: 8 Voto: 5 + Come si può analizzare asetticamente i contenuti tecnici di una spedizione transcontinentale per certi versi prodigiosa, “preparata” in condizioni precarie (eufemismo) da un allenatore diverso (Marwan Al-Khoury) nella surreale atmosfera di Al-Jalaa, provincia di Deir-El-Zor, in sostanza al valico di confine utilizzato dall’ISIS per collegare i propri sedicenti territori con l’Iraq, un obiettivo militare preso di mira dai raid aerei francesi nel settembre scorso? Circondato dai clangori dei carri armati e dagli inquietanti sibili delle bombe un manipolo di spauriti ragazzini, abbandonato peraltro da una Federazione impossibilitata persino a fornire calzettoni e pantaloncini per ovvie cause di forza maggiore, è stato costretto a fingere che attorno fosse tutto normale, inseguendo il proprio sogno proprio mentre il capitano e trascinatore durante l’AFC U-16 Championship 2014 in Thailandia, Mohammed Jaddou, sopravvissuto ad una rocambolesca fuga dagli orrori bellici tra Turchia e Italia in compagnia del padre che ha commosso il mondo, ha dovuto rinunciare alla convocazione di Mohammad Al-Attar nella speranza di strappare il diritto d’asilo sul suolo tedesco. Il centrattacco Abdulrahman Al-Barakat, già eroico triplettista alle spese dell’Uzbekistan nella succitata rassegna asiatica che è valsa il secondo biglietto iridato nella storia delle Aquile del Qasioun, ha tentato invano di raccoglierne la leadership, surrogato dalle preziose rifiniture di Basel Kawakbi e Zid Gharir, ma l’unico squillo arabo è arrivato in virtù dell’imbeccata di Amin Akil che ha permesso ad Anas Al-Aji  di trafiggere l’estremo difensore paraguaiano (1-4). 23° HONDURAS [eliminata nella fase a gironi] Bilancio: 0 vittorie – 0 pareggi – 3 sconfitte Gol fatti: 2 / Gol subiti: 8 Voto: 5 Lo sporadico exploit di ventiquattro mesi orsono, con il sorprendente approdo ai quarti di finale negli Emirati Arabi, resta una voce da circoletto rosso nello scarno curriculum della Mini H: per la terza volta in quattro partecipazioni, purtroppo, il cammino è stato costellato soltanto da sconfitte. Eppure le premesse sembravano incoraggianti, con la conferma di José Valladares alla tolda di comando e lo storico raggiungimento dell’ultimo atto nel Concacaf U-17 casalingo del marzo scorso; ‘El Joche’ si è affidato quasi in blocco allo stesso gruppo di giocatori, aggregando in extremis il baby Jafeth Leiva (1999, autore del colpo da biliardo di sinistro che per poco non è valso un pareggio nella partita di congedo con il Belgio) al posto di Oslin Sevilla, ma nonostante il bailamme che ha caratterizzato la disposizione del fronte offensivo (il 4-2-3-1 iniziale si è trasformato in corso d’opera prima in 4-2-2-2 per poi tentare il tutto per tutto con un tridente sui generis, dove forse avrebbe meritato maggior spazio l’ala Kevin Castro) i riscontri sul campo son stati poco lusinghieri. Insieme al ruvido stopper Dylan Andrade (di formazione statunitense, avendo frequentato in passato la Monverde Academy in coincidenza con la nomina di Frank Rijkaard come Advisor of Player Development nel 2013) e l’aggressivo ruba-palloni Erick Arias, le polaroid più suggestive per immortalare l’esperienza cilena restano la prodezza balistica di Foslyn Grant ai danni dell’Ecuador e la verve di Darixon Vuelto, promettente attaccante di raccordo mancino del CD Victoria monitorato con attenzione dai danesi del Midtjylland. 24° ARGENTINA [eliminata nella fase a gironi] Bilancio: 0 vittorie – 0 pareggi – 3 sconfitte Gol fatti: 1 / Gol subiti: 8 Voto: 4 Una clamorosa mancata qualificazione a Turchia 2013 ed un trittico di pessime esibizioni in terra neozelandese due anni dopo per la Sub 20, incapace finanche di aggiudicarsi un singolo match; se tre indizi fanno una prova, la sopraggiunta peggior performance di sempre dell’Albiceleste Under 17 in una rassegna iridata inducono a pensare che l’indice di talento non sia esattamente allo zenit nei settori giovanili del Cono Sud. Era infatti dalla prima edizione (Cina 1985, quando ancora la competizione era riservata agli under 16) che la fase a gironi non costituiva uno scoglio insormontabile; curiosamente, allora come oggi furono Australia e Germania (Ovest, nella fattispecie) a frenare la corsa di Fernando Redondo e compagni, i quali quantomeno riuscirono a strappare una vittoria al Congo nel pleonastico ultimo impegno in programma (4-2, doppietta firmata da un certo Hugo Maradona…). Stavolta il bottino è ancor più misero, con i ragazzi di Miguel Ángel Lemme dominati sin dal vernissage contro il Messico (0-2), letale nell’approfittare di una retroguardia totalmente inadeguata nel serrare le file per tamponare le crepe in prossimità dei mediani Mancuso (falloso e inaffidabile) e Julián Chicco (testato dal Manchester Utd nel gennaio 2014, prima di accasarsi al Boca Jrs) e farraginosa soprattutto sul fianco destro, con il centrale Ferreyra ed i quattro terzini alternatisi tra loro durante il tragitto semplicemente in bambola. Nel naufragio generale, l’unica scialuppa di salvataggio in ottica futura la meriterebbero i mancini del San Lorenzo Pablo Ruíz e Tomás Conechny, seconda punta mobile e brevilinea le cui sferzanti evoluzioni hanno già attratto la lente d’ingrandimento del Liverpool. LA TOP 11 DEL GUERINO (4-2-3-1): Constantin Frommann (1998, Germania); Reeve Frosler (1998, Sudafrica), José Joaquín Esquivel Martínez (1998, Messico), Vinko Soldo (1998, Croazia), Pervis Josué Estupiñán Tenorio (1998, Ecuador); Georgi Makhatadze (1998, Russia), Dante Rigo (1998, Belgio); Timothé Cognat (1998, Francia), Kelechi Nwakali (1998, Nigeria), Aly Malle (1998, Mali); Victor Osimhen (1998, Nigeria). Marco Oliva

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