Che la mole di lavoro di Maurizio Sarri abbia oltrepassato i limiti del normale è evidente, per il modo in cui è riuscito a cambiare volto alla squadra nell'arco di brevissimo tempo, per aver stravolto in positivo il reparto difensivo e per tutte le altre motivazioni che conosciamo e che sono sotto gli occhi di tutti. C'è però un qualcosa che va oltre le faccende calcistiche e che rende il tecnico del Napoli molto più furbo di alcuni suoi colleghi. La questione riguarda il fatto di aver scovato il punto di equilibrio nelle relazioni diplomatiche. Queste vengono a mancare nei rapporti con i propri ragazzi - parole sempre schiette e dirette, connotato fondamentale del passaporto della genuinità - per poi tornare in auge davanti alle telecamere una volta sentito il fischio finale. Non è una circostanza negativa, si tratta solamente di saper giocare - o in questo caso sarebbe meglio dire allenare - anche fuori dal campo.
«L'Inter? Faccio fatica a considerarla una partita importante, visto che ne mancano ancora tante alla fine. I punti in palio sono 75. Ho visto pochissimo la squadra di Mancini, da domani comincerò a studiarla». Punto uno. Sarri è consapevole più di chiunque altro della grandezza del Napoli, della possibilità - che prende sempre più piede - di poter arrivare al giro di boa (15 maggio) con dei risultati parecchio importanti. Un conto era parlarne in seguito al doppio 5-0 rifilato a Bruges e Lazio - sarebbe stato troppo prematuro -, un altro è farlo con maggiore cognizione di causa, forte di una striscia positiva che dura da 17 gare e che ha avuto la sua genesi alla fine di agosto, in occasione del pareggio casalingo contro la Samp. È superfluo, inoltre, soffermarsi sui numeri e sul fatto di aver subito due reti nelle ultime dieci di campionato, lo sapete già.
Dov'è il vantaggio? Nel tenere la squadra in continuo allarme perché anche il più banale degli impegni è da contemplare come gravoso, nell'annullare i voli pindarici che l'attuale situazione facilmente suggerisce, nell'affievolire il naturale entusiasmo che accompagna il totale cambiamento di abito dopo l'uscita di scena di Benitez, nel far credere che conti esclusivamente il domani e non il dopodomani. Praticamente l'antitesi di Rudi Garcia, che se ha un difetto - al di là dei discorsi sul comportamento in campo dei giallorossi - è quello di infiammare la piazza prima del dovuto. Il "quest'anno vinceremo lo scudetto", pronunciato a dieci giorni dalla partita delle mille polemiche (Juve-Roma 3-2), è la testimonianza lampante. Erano ancora i giorni di ottobre e il campionato sarebbe finito di lì a sette mesi, con 17 punti di distacco dall'obiettivo dichiarato.
@damorirne