Chiudiamo il 2015 anticipando le discussioni sul Pallone d'Oro e assegnando quello di quest'anno a Gigi Buffon. Non il premio vero, che sarà assegnato dalla FIFA (...) a Zurigo l'11 gennaio a uno fra Messi, Neymar e Cristiano Ronaldo, con gli italiani in ogni caso fuori anche dal listone dei 23, ma quello per chi ancora crede nel futuro. Ci riferiamo al suo investimento nella Zucchi: sul Guerino ne avevamo parlato già qualche settimana fa, ma soltanto da poco se ne sono conosciuti i risultati definitivi. In sostanza dal 2009, quando è entrato nel capitale della società tessile, Buffon fra investimento iniziale e sottoscrizione di aumenti di capitale mentre gli altri soci si defilavano (infatti era arrivato alla maggioranza assoluta con il 53 e rotti per cento) e l'azienda già andava evidentemente male, ha perso circa 20 milioni di euro. Non uno scherzo, neppure per uno come lui: significa, al di là delle cifre mirabolanti che si sparano e calcolando gli ingaggi al netto dell'IRPEF, avere giocato gratis nella Juventus per cinque stagioni. Adesso che la Zucchi potrebbe (usiamo il condizionale perché l'operazione non è semplice) entrare nell'orbita di un fondo di investimento, con diluizione delle quote dei vecchi soci, questi 20 milioni potrebbero però aver salvato centinaia di posti di lavoro. Fuori dalla retorica dei buoni sentimenti, in origine Buffon pensava davvero che la Zucchi fosse un buon investimento finanziario ma è vero che avrebbe potuto sganciarsi dal disastro molto prima e non lo ha fatto. Un comportamento che ci ha ricordato quello di Cristiano Lucarelli (fra l'altro su sponda politica opposta rispetto a Buffon, segno che le persone hanno qualità o non le hanno, a prescindere dalle idee) in altre attività imprenditoriali e che fa onore al portiere dei record. Poteva impiegare i suoi soldi nel solito bar-ristorante dei calciatori, gestito dal solito amico riluttante a rilasciare ricevute, o semplicemente tenerli fermi sul conto, ma ha preferito una via meno comoda. Non stiamo facendo l'elogio della cattiva imprenditoria, perché Buffon è stato malissimo consigliato e di sicuro non ha saputo invertire la rotta in un settore difficile e maturo come il tessile, ma quello della serietà. Serietà che già si era notata nella vicenda della Carrarese, altro bagno di sangue anche se a cifre moltissimo inferiori. Poco interessante fare il santino di Buffon ad uso del tifoso, fra diplomi comprati e altro non è proprio il caso, giusto invece premiare gli uomini che ci mettono la faccia e non scappano.
Il 2016 sarà l'anno che porterà Antonio Conte nell'olimpo dei grandi allenatori italiani oppure lo confinerà nel girone di quelli comunque bravi ma che fuori dalla Juventus hanno combinato poco. Un anno e mezzo in azzurro, fra amichevoli e un girone di qualificazione europeo di livello (non per colpa dell'Italia) insulso, ha dato indicazioni molto positive: il commissario tecnico ha regalato a tutti, soprattutto ai convocati e ai convocabili, la sensazione che la Nazionale sia una cosa vera, concreta e anche anche decisiva per le loro carriere, non un club con le porte girevoli dove omaggiare il campioncino del momento. E il partire in seconda fila a Euro 2016 potrà essere utile ad una squadra al tempo stesso solida e con molte alternative in difesa a centrocampo, ma molto povera in attacco dove nessuno fra i vari Pellé, Okaka, Eder, Insigne, Gabbiadini, Zaza, Immobile, Destro, El Shaarawy, eccetera, sembra avere una continuità e una statura internazionali. La resurrezione di Balotelli è giusto un'ipotesi, purtroppo, per quanto affascinante. Comunque l'Italia non parte battuta contro nessuno, al di là del disfattismo cosmico e del clima da 'noi contro tutti' che il c.t. sta preparando. La consapevolezza che Tavecchio non sia andato al di là di sondaggi per suoi eventuali successori (giusto Allegri, di certo nessuno degli altri italiani di prima fascia) ha tolto un po' di pressione per la storia del contratto, in attesa che al Milan o alla Roma si decidano a fare una proposta vera.
La morte di Tommaso Fabbretti ricorda gli anni più difficili della storia del Bologna, che coincisero con l'esordio in serie A di un sedicenne Roberto Mancini ma anche con squalifiche (fra queste la sua personale, per un anno) per il calcioscommesse del 1980 e con una doppia retrocessione che portò la squadra in C1. Fabbretti, controverso finanziere dai molteplici interessi, fu presidente proprio dal 1979 al 1983 e non si può dire che i tifosi bolognesi lo rimpiangano, anche al netto delle sue numerose vicende giudiziarie extracalcio. Non lo rimpiangono per aver dovuto salutare la serie A al termine della stagione 1981-82 (all'epoca il Bologna era, insieme a Inter e Juventus, fra i club che sempre erano stati nella massima categoria), con allenatori prima Burgnich e poi Liguori, con la retrocessione sul campo di una squadra discreta: oltre a Mancini c'erano Zinetti, Mozzini, Paris, Colomba, Chiorri, Chiodi e, curiosità, due futuri protagonisti del calciomercato come Franco Baldini e Tullio Tinti. Non lo rimpiangono perché sempre con Fabbretti, sia pure in uscita, hanno subito ripetuto la prodezza scivolando anche dalla B, con allenatori Magni, Carosi e Cervellati. Va detto che il declino del Bologna era iniziato già da anni, dopo la vittoria in Coppa Italia del 1974 e il ritiro di Bulgarelli, e che quando Fabbretti aveva rilevato la società da Luciano Conti, fra l'altro ex editore del Guerin Sportivo, non è che ci fosse la fila fuori dalla porta. Una volta in C1, anche questa serie guadagnata sul campo, Fabbretti cedette la società a Brizzi (con un breve intermezzo di Mariniello, altro personaggio incredibile di quell'epoca), con cui il club tornò in B, ma per venire fuori dagli anni bui il Bologna avrebbe dovuto attendere l'era di Corioni e Maifredi. Insomma, anche se il nome di Fabbretti ci scalda il cuore perché ricorda Eneas e Neumann, non tutto il passato è da rimpiangere: chiudiamo l'anno con questa massima, facendo gli auguri di un grande 2016 a tutti i lettori del Guerino.
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