L'incontro più spettacolare dei quarti di finale tra Germania e Italia si sta già accendendo moltissimo. Da una parte gli italiani sempre scettici se la giocheranno con la consapevolezza che sono meno forti questa volta. Dall'altra i tedeschi non le mandano a dire. Toni Kroos in conferenza stampa ha dichiarato il perché dovrebbe avere il trauma dell'Italia. Lòw, invece, non ha nessuna paura degli azzurri rispetto a Germania 2006 e all'Europeo 2012, ultimi incontri ufficiali. La cosa però che finora ha caratterizzato la vigilia dell'incontro è la pubblicazione da parte del sito sportivo express.de di un articolo che elenca undici motivi perché la Germania dovrebbe battere l'Italia. Tra questi i tedeschi vantano in difesa Boateng che farà meglio di quella "bastarda" Chiellini-Bonucci-Barzagli, Khedira conosce tutti i segreti della retroguardia juventina, Neuer è un grande portiere come Buffon e infine la Germania calerà l'entusiasmo dell'Italia dopo la sconfitta rifilata alla Spagna a Saint-Denis per 2-0.
Ma la Germania come è arrivata a questa grande crescita che dopo il Mondiale del 1990 in Italia ha rivinto per la quarta volta in Brasile appena due anni fa? Tutti segnano come data del "Rinascimento tedesco" il 2006, anno dell'organizzazione dei Mondiali casalinghi. Ma la vera e propria rinascita del calcio teutonico avviene quando i tedeschi sono divisi dalla Cortina di ferro in due nazioni: Germania Est e Ovest. I tre Mondiali vinti prima della riunificazione sono tutti della Germania Ovest più forte di quella dell'Est che riuscì a partecipare solo al torneo del 1974 passando al secondo turno. Il "Rinascimento del calcio teutonico" è cominciato sessant'anni prima con il Miracolo di Berna nel 1954. La Mannschaft conquistò al Mondiale svizzero la allora Coppa Rimet sconfiggendo in finale i fortissimi ungheresi noti come l'Aranycsapat, "la Squadra d'Oro".
Prima di allora, infatti, i tedeschi contavano pochissimo nel calcio, surclassati a più riprese da italiani, sudamericani e persino dai paesi confinanti come i cecoslovacchi, gli austriaci e appunto gli ungheresi. Il calcio si era sviluppato lentamente in quello che oggi è il Paese dominante di questo sport, e ai Mondiali si era visto: assente (come molti paesi europei) all'edizione del 1930 in Uruguay, la Germania era stata eliminata malamente nelle edizioni del 1934 e in quella del 1938, dove non solo l'annessione forzata degli austriaci in seguito all'invasione nazista aveva dimostrato di non dare i suoi frutti, ma forse era anche stata la causa di un'eliminazione clamorosa ad opera della piccola Svizzera. Nel 1950, poi, la Germania non partecipò al torneo per volere della FIFA: il Mondiale era tornato dopo la pausa per via della guerra, una tragedia in cui i tedeschi avevano più che qualche responsabilità. Una forzata pausa di riflessione, al Paese che aveva ospitato i lager, pareva il minimo sindacale. Tutto cambiò in quel pomeriggio di luglio del 1954, e molteplici furono i motivi. In un'epoca dove le sostituzioni non esistevano, la stella dell'Ungheria Puskás volle giocare ugualmente, ma dopo aver segnato proprio al “pronti-via” sparì lentamente dalla gara; gli ungheresi sottovalutarono i rivali dopo averli sonoramente sconfitti appena qualche giorno prima; pioveva, e le scarpette indossate dai tedeschi e inventate da un certo Adi Dassler (da cui prendono il nome Adidas) sulla lunga distanza diedero un vantaggio ai teutonici; si svegliò il genio intermittente di Helmut Rahn; c'è chi parla anche di doping. Tutto vero e possibile. Ma non sono in pochi quelli che sostengono che la vittoria arrivò grazie a un uomo, un portiere, che da vero tedesco seppe reagire ad un destino che sembrava già scritto e che con un miracolo (qualcuno la definisce tuttora la parata più bella di sempre) negò un gol già fatto all'Ungheria. Il suo nome era Anton, ma per tutti era Toni: Toni Turek. La caduta e la rinascita si concretizza nel giro di poco meno di mezz'ora, con la Germania che si è presentata alla finale nelle vesti di vittima sacrificale batté invece 3-2 la squadra del temibile Puskàs. Da lì i tedeschi hanno acquistato rispetto e tradizione per il calcio che conta.
Marco Stiletti