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Paolo Maldini e le bandiere senza potere

Paolo Maldini e le bandiere senza potere

Redazione

6 ottobre 2016

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Il tira e molla di Paolo Maldini con i cinesi futuri (forse) proprietari del Milan offre il pretesto per riflettere sul ruolo che le cosiddette bandiere hanno avuto nei loro club una volta abbandonato il campo e di sicuro fa capire come mai Totti a 40 anni (Maldini si è ritirato a 41) non abbia alcuna intenzione di mollare. La spiegazione è tremendamente semplice: finché sei in campo sei una divinità e il tuo potere si estende anche al di fuori, condizionando addirittura chi ti paga, ma quando ne esci diventi un grande ex, per giunta mal sopportato dai dirigenti del 'presente' che si devono confrontare con l'attualità mentre le imprese passate del campione rimarranno per sempre, indiscutibili, insieme all'amore dei tifosi. Il timore, anzi la certezza, di chi 'mette i soldi' è che l'ex campione abbia un filo diretto con la gente, al punto di far sembrare quasi sua la società. Quanti sono gli ex campioni che in Italia hanno avuto in mano il potere vero una volta lasciata l'attività agonistica? Pochi, anzi pochissimi a meno di non calcolare chi è stato coinvolto per cariche di rappresentanza e chi ha avuto una chance soltanto come allenatore. Su tutti Giampiero Boniperti, per oltre vent'anni presidente-manager della Juventus, mentre rimanendo in ambito bianconero non si può certo dire la stessa cosa di Bettega, vicepresidente ma con decisioni prese da Giraudo e Moggi. All'Inter Sandro Mazzola, per la parte finale dell'era Fraizzoli e come direttore sportivo per quella iniziale (fino al 1999) di quella Moratti, e Giacinto Facchetti in vari ruoli (anche presidente) ma poco più che onorifici, mentre attualmente non si può dire che il vicepresidente Javier Zanetti abbia voce in capitolo nelle materie che contano. Pochissimi gli ex campioni del Napoli ad essere rimasti o tornati nel Napoli con ruoli decisionali, uno come Antonio Juliano che aveva la personalità e l'intelligenza per comandare fu non a caso accantonato da Ferlaino dopo il capolavoro fatto con Maradona. Stesso discorso per la Roma, sempre escludendo tagliatori di nastri e inauguratori di club di tifosi, e per la Lazio (a un certo punto Chinaglia se la comprò, ma non furono anni luminosi). Addirittura nessuna delle varie proprietà del Cagliari ha mai trovato un ruolo credibile per Gigi Riva, tolti pochi e dimenticabili mesi come presidente a metà anni Ottanta: con questo sarebbe detto tutto... Ma veniamo finalmente al Milan, la cui situazione è molto particolare. Perché da trenta anni decide tutto Adriano Galliani, con direttori sportivi ridotti al rango di meri esecutori o di artefici di operazioni minori, e di sicuro nessun grande ex nei posti che contano anche perché il posto che conta è solo uno. Per questo la presenza di Galliani è sempre stata incompatibile con quella non solo di Maldini ma anche di uomini immagine come ad un certo punto sembrava potesse essere Franco Baresi. Nella storia rossonera Gianni Rivera è l'esempio da manuale della bandiera accantonata perché ingombrante: di fatto padrone del Milan nella parte finale della sua carriera di giocatore (a un certo punto fu sul punto di comprarlo davvero, con il finanziere Franco Ambrosio), ma dirigente senza grande voce in capitolo con Farina e subito salutato da Berlusconi. Adesso però sta cambiando tutto e Maldini avrebbe davvero la possibilità di aggiungersi al limitatissimo elenco di chi nello stesso grande club è stato grande sia in campo che alla scrivania, al di là del fatto che non abbia alcuna esperienza dirigenziale (e questa è una sua colpa, perché si è ritirato nel 2009) e che essere una persona intelligente non trasformi in dirigente chi nella vita ha sempre fatto altro. Senza contare il vero rischio, quello di rovinare la propria immagine vincente per colpa di giocatori che di Paolo Maldini sarebbero stati a malapena riserve. Twitter @StefanoOlivari

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