Per un allenatore vincere uno scudetto è difficile, soprattutto quando in quasi quaranta anni di carriera si ha a disposizione un solo vero tentativo. Il tentativo di Gigi Simoni risale alla stagione 1997-98, sulla panchina dell'Inter. Per questo fra le varie presentazioni della sua biografia, 'Simoni si nasce - tre vite per il calcio', quella avvenuta a San Siro poche ore prima di Inter-Fiorentina ha avuto il sapore dolce e amaro di ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, delle rose non colte. O, se vogliamo essere meno poetici, delle occasioni perse. Sarà anche per questo che quasi tutti gli invitati hanno risposto presente: da Massimo e Bedi Moratti a Berti, passando per Zanetti, Bergomi, Milanese, Colonnese, Cauet, il dottor Volpi, Pirlo e Frey (gli ultimi due arrivati all'Inter nell'estate 1998, quando Simoni con la famosa frase "Pirlo è forte come Rivera" si attirò frizzi e lazzi). Più campioni di altri tempi, anzi di ogni tempo, come Suarez e Corso...
Un marziano capitato lì per caso si sarebbe stupito: ma come, tutta questa considerazione per un allenatore che è stato qui soltanto un anno e pochi mesi? Nel libro, scritto da Rudi Ghedini, Luca Tronchetti e Luca Carmignani per Goalbook Edizioni, si parla in realtà di tutta la carriera di Simoni e delle mille persone da lui conosciute nel calcio o grazie al calcio, come Claudio Baglioni... Una carriera da supervincente, con la bellezza di 14 promozioni: 4 dalla B alla A come giocatore (Mantova, Napoli, Brescia e Genoa), 10, di cui 7 dalla B alla A, come allenatore (Brescia, Carrarese, Cremonese, Ancona, e due volte con Genoa, Gubbio e Pisa). Più altri trofei, fra i quali spicca ovviamente la Coppa Uefa vinta a Parigi nel 1997-98 in finale sulla Lazio di Eriksson e Mancini.
Si torna sempre lì, a quella stagione particolarissima in cui una squadra poco più che discreta ma con il miglior giocatore del mondo riuscì a giocarsi lo scudetto con la Juventus di Moggi, Lippi e Zidane, fino a quel pomeriggio al Delle Alpi che da Moratti è ricordato più degli scudetti vinti: Iuliano, Ronaldo, Ceccarini, Pagliuca, Lippi, eccetera. Lui stesso lo ha sottolineato durante la presentazione: "Fu un anno particolare, perché nella squadra c'era un clima vincente e allegro, una unità che non avrei ritrovato neppure nelle Inter che poi anni dopo avrebbero vinto. C'era Ronaldo, certo, il numero uno del mondo. Ma c'era anche Simoni, che fu bravissimo a creare quello spirito e a vincere quel campionato. Sì, per me quello è un campionato vinto. Peccato non averlo vinto davvero, sarebbe stata la base su cui costruire un ciclo". Quanto all'esonero di Simoni, avvenuto la stagione seguente con la squadra ancora in corsa in campionato e Champions League, a pochi giorni da una vittoria sul Real Madrid, Moratti non avrebbe potuto essere più chiaro: "Con Simoni ho sbagliato, è stato un mio errore. Credevo che la rossa fosse fortissima e non mi rendevo invece conto di quanto fosse importante lui. Per fortuna sono riuscito poi ad incontrarlo tante altre volte, lo ringrazio per non avermi mai messo in imbarazzo".
Tanto per mettere tutto nel proprio contesto, va detto che Simoni arrivò all'Inter dopo un'ottima stagione al Napoli (esonerato prima della finale di Coppa Italia, proprio perché si era già accordato con i nerazzurri) ma che non era la prima scelta di Moratti, forse anche per quel marchio da allenatore di provincia o di categoria che spesso dipende soltanto da pigrizia giornalistica. E a ricordare proprio tutto, va detto che se non avesse vinto la finale di Parigi quasi certamente sarebbe stato sostituito da Alberto Zaccheroni (che di lì a poco avrebbe firmato con il Milan, con cui avrebbe vinto subito lo scudetto). Simoni fu un consiglio di Sandro Mazzola, all'epoca direttore sportivo dell'Inter, al quale sarebbe toccato anche l'ingrato compito di comunicargli la notizia dell'esonero proprio il giorno in cui Simoni era stato premiato con la Panchina d'Oro. Ma ormai è il passato. Nel presente un Simoni molto commosso, circondato da tanto affetto di persone che hanno lavorato con lui magari anche solo per pochi mesi, quasi non è riuscito a parlare, il ricordo di quella stagione gli fa ancora male anche se il tempo lo mette in prospettiva: "Per questo libro ho aspettato la fine della carriera, ho voluto ricordare le mie squadre e soprattutto i miei principi. Credo di non averli mai traditi, per questo tante persone diverse mi hanno rispettato. La mia vera vittoria è questa".
Twitter @StefanoOlivari