Le emozioni di Manchester City-Monaco saranno ricordate per molti anni, così come gli errori difensivi (più individuali che di squadra) che insieme ad un'intensità rara hanno portato al 5-3 per gli uomini di Guardiola, in un Etihad Stadium giustamente impazzito perché in notti così l'importante è esserci. Un po' calcio antico, con un 4-1-4-1 pieno di citazioni, un po' il calcio playstation che la UEFA e i grandi club vogliono proporre in un continente in cui i ragazzi crescono in un contesto diverso rispetto anche soltanto a vent'anni fa. Di certo è stata una delle notti europee più grandi nella storia del City, che pure ha un passato internazionale rispettabile: dalle storiche Coppe delle Coppe di inizio anni Settanta (vittoria nel 1970 e semifinale nel 1971 con la memorabile squadra allenata da Joe Mercer, che nel 1967-68 aveva anche vinto il massimo campionato allora chiamato First Division) a discrete partecipazioni in coppa UEFA-Europa League fino alla dimensione Champions nell'epoca degli sceicchi iniziata con qualche fallimento e culminata con le tiratissime semifinali dell'anno scorso contro il Real Madrid poi campione. Chiaramente Guardiola è stato ingaggiato non soltanto per vincere, cosa che dipende da tanti fattori e che in ogni caso anche altri allenatori sanno fare, ma per collocare il Manchester City nella storia che conta, che non è fatta solo di vittorie ma anche di partite che tutti citano a distanza di decenni. Collocare non gratis, ovviamente, visto che nella sola stagione in corso il rosso di mercato è stato di quasi 200 milioni di euro (per più della metà dovuti a un difensore normale come Stones e a un buon talento come Sané, senza contare Gabriel Jesus, Gundogan, eccetera), ma in un modo che dovrebbe essere duraturo e cambiare per sempre lo status di un club che a parità di soldi ancora fino a poche stagioni fa veniva rifiutato da giocatori al top.