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Un vestito per Carlo Mazzone

Un vestito per Carlo Mazzone

Redazione

20 marzo 2017

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Gli ottanta anni appena compiuti da Carlo Mazzone, nel giorno della festa del Papà, sono un pretesto per riflettere su quanto conti presentarsi bene per fare carriera, anche in un settore apparentemente meritocratico come il calcio. Lo diciamo sul serio, perché la storia dello sport è stata spesso decisa da un'impressione fatta a cena o dall'appartenenza a giri giusti, più che da attente analisi del curriculum. Quando vieni targato come allenatore da provinciale, da macchietta romanesca o da burbero in tuta tipo 'Allenatore nel pallone' puoi anche far giocare benissimo squadre dalla rosa ai confini della decenza, ma una vera grande occasione non l'avrai mai. Mazzone ha fatto bene in molti contesti (il nostro Mazzone preferito quello dell'Ascoli di inizio anni Ottanta e quello di Cagliari nei Novanta) e male in pochi, tutto sommato è stato abbastanza celebrato ma sempre con quel tono fra il condiscendente e lo sfottente che lui per primo ha sempre colto. Dall'altro lato ci sono quelli che i giornalisti definiscono 'predestinati' prima ancora che abbiano allenato anche solo la squadra del loro condominio, da Ferrara a Brocchi, gente che anche dopo il decimo esonero sarà in televisione a spiegare dove Allegri e Ancelotti hanno sbagliato. Ma perché Mazzone è stato sottovalutato? Prima di tutto perché non è stato un calciatore di serie A e nemmeno di serie B, ma soltanto un onesto difensore di C nella Del Duca Ascoli (l'antenata dell'attuale Ascoli). In secondo luogo perché non si è mai atteggiato a santone o anche soltanto maestro di calcio, pur avendo in quasi quaranta anni di panchina cambiato pelle più volte, dagli anni Settanta delle marcature a uomo in ogni settore del campo fino a quasi i giorni nostri, con il 3-5-2 che in estrema sintesi può essere considerato il suo modulo preferito. Terzo motivo della sottovalutazione di Mazzone: mai, fra l'Ascoli di Pircher, la Roma del giovane Totti e il Brescia di Baggio, Mazzone ha pensato di contare più dei giocatori e questo glielo hanno riconosciuto sia i gregari sia le stelle, da Baggio in giù (fra l'altro fu di Mazzone, nei pochi mesi in cui lo allenò a Brescia, a inventarsi Pirlo regista). Dopo la sua prima vittoria da tecnico in Champions League, nel 2009, Guardiola nei ringraziamenti citò un solo allenatore, Mazzone. Da notare che aveva lavorato con lui nel Brescia da giocatore quasi al capolinea, dopo una carriera in cui era stato guidato, per dire, da Cruijff e Van Gaal. Poi ci sono i problemi di immagine già citati, che gli hanno dato una popolarità trasversale ma anche precluso strade importanti nonostante il record di 795 partite in serie A faccia impressione. L'occasione della vita nella sua Roma gli capitò in un momento societario particolare, nel 1993, con Sensi che non aveva ancora preso bene in mano le redini della situazione e con una rosa di medio valore che in quelle tre stagioni non avrebbe potuto fare di più. Mai, nemmeno nel fantamercato con scenari che non si negano a nessuno, Mazzone è stato accostato a Juventus, Inter o Milan, che nella loro storia hanno qualche volta anche dato chance ad allenatori modesti. E quindi? Hanno ragione tutte le mamme del mondo: bisogna vestirsi bene.

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