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La lezione della Germania di Joachim Löw

La lezione della Germania di Joachim Löw

Redazione

3 luglio 2017

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Cosa deve fare ancora Joachim Löw per essere considerato un grande allenatore? La vittoria della Germania B in quella che potrebbe essere l'ultima edizione della Confederations Cup è probabilmente la gemma della sua carriera, non perché valga la Coppa del Mondo conquistata in Brasile ma perché summa della filosofia calcistica introdotta da lui e da Klinsmann nel 2004, quando presero in mano la nazionale tedesca da Völler. Era già una buonissima squadra, reduce dalla finale mondiale del 2002 giocata senza Ballack e persa di fatto per un errore di Kahn, una squadra che aveva già lanciato Lahm e Schweinsteiger e che viaggiava nel solco della Germania che tutti conoscevano, a prescindere dalla bontà delle singole generazioni. Klinsmann e dal 2006 Löw in solitudine hanno portato avanti un progetto che potremmo sintetizzare così: alzare il livello medio del calcio tedesco, perché la nazionale non si limiti a prendere i migliori dai club ma li arricchisca. Il sistema dei centri di formazione federali, diffusi sul territorio e meno concentrati rispetto al modello francese, a livello generale funziona meglio delle academy inglesi o dei paesi, anche importanti (Italia, Argentina, Spagna, Brasile), dove tutto è in carico ai club ed in ogni caso è strettamente successo alla struttura della Bundesliga, nel senso che i calciatori tedeschi 'buoni' sanno che potranno vivere tutta la carriera in patria, ognuno al proprio livello. È insomma un modello che prescinde dai risultati della nazionale maggiore, che comunque non mancano di certo: terzi a Germania 2006, finalisti a Euro 2008, terzi a Sudafrica 2010, semifinalisti a Euro 2012, campioni in Brasile, semifinalisti all'Europeo dell'anno scorso. E adesso la vittoria in Confederations Cup, soffrendo soltanto nelle due partite contro un grandissimo Cile, pieno di ottimi giocatori al punto più alto della loro parabola e fin da adesso considerabile mina vagante del prossimo Mondiale, se proprio vogliamo considerare outsider chi ha vinto le ultime due edizioni della Coppa America. La regolarità ad altissimo livello non è la cosa più impressionante, perché nella sua lunga storia, parlando chiaramente di Germania Ovest prima del 1990, la Germania i risultati li ha quasi sempre ottenuti, ma ad impressionare è il numero di calciatori di valore a disposizione che rende secondari anche i discorsi tattici: da quest'anno la Germania ha infatti cambiato pelle e gioca quasi sempre con la difesa a tre, che gradualmente sta tornando di moda (è stato Guardiola ai tempi del Bayern a farla tornare cool). Se pensiamo agli undici titolari nella finale con il Cile a San Pietroburgo, notiamo che 5 su 11 avrebbero potuto essere in campo nel vittorioso Europeo Under 21 conclusosi venerdì con la vittoria sulla Spagna, come a dire che Stefan Kuntz ha vinto con una Under 21 B. Notare tutto questo non deve essere il pretesto per il solito disfattismo cosmico, visto che gli azzurrini fino alla semifinale con la Spagna erano considerati fenomeni quasi tutti da 50 milioni di valutazione l'uno, ma per copiare il meglio. La continuità nella gestione, il giusto peso da dare ai piazzamenti (il secondo posto di Prandelli a Euro 2012 considerato una delusione rende l'idea), la preferenza della squadre di Bundesliga per il prodotto nazionale. Non stiamo parlando di un paese di fenomeni, ma del paese che insieme alla Spagna ha preso la leadership tecnica del calcio mondiale per motivi molto precisi. Poi il singolo torneo lo possono vincere anche altri.

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