Lo scandalo del calcioscommesse del 1986 è molto meno ricordato di quello del 1980. A pensare bene è perché squadre e soprattutto giocatori squalificati avevano in media nomi meno altisonanti. Ma i retroscena, in una prospettiva storica, potrebbero essere più interessanti rispetto ad altre vicende sporche. Certo è che la vera svolta fu il 21 agosto del 1986, quando la CAF (Commissione di Appello Federale), accogliendo la richiesta della pubblica accusa (!) rappresentata dal procuratore della FIGC Corrado De Biase, decise di non chiamare a testimoniare Armando Carbone, che di tutta la vicenda era il personaggio chiave. Così l'appello, all'epoca ultimo grado di giudizio, si basò di fatto sugli stessi elementi raccolti per il processo di primo grado, con le pene che vennero leggermente mitigate: Udinese penalizzata di 9 punti invece che retrocessa in B, Lazio penalizzata di 9 punti in B invece che retrocessa in C1, eccetera. Tutto era nato dall'arresto di Carbone, nell'ambito di un'inchiesta condotta dal sostituto procuratore di Torino Marabotto, che sarebbe di nuovo comparso nei titoli calcistici vent'anni dopo per alcune intercettazioni di telefonate fra lui e Luciano Moggi. Carbone era, per sua stessa ammissione, un mediatore che si occupava di aggiustare partite: a volte per motivi di classifica, altre per motivi di scommesse. Di certo era un personaggio notissimo e frequentato da molti dirigenti del calcio italiano, anche perché era legato a Italo Allodi, all'epoca direttore generale del Napoli di Ferlaino. Carbone raccontò a Marabotto e a Maurizio Laudi molto del marcio del calcio italiano, tirando in ballo tanti e non solo le società alla fine condannate, perché tutti prima o poi in quel sistema chiedevano o dovevano restituire un favore. A tutt'oggi la decisione della CAF rimane inspiegabile: l'unica cosa scrivibile che ci viene in mente è che una deposizione pubblica avrebbe azzerato la credibilità del calcio italiano, al di là delle pene, e che quindi si sia politicamente deciso di tenere tutto 'basso'. La tesi di Carbone, espressa in successive interviste, è che quello scandalo avesse l'obbiettivo di colpire il sistema di potere di Allodi (poi comunque assolto) per consegnarlo a Moggi, in quel tempo direttore sportivo del Torino. Non sappiamo se davvero quella sia stata la causa dell'inchiesta, di certo ne è stata l'effetto. E si capisce come mai a tutt'oggi sia più facile parlare del primo calcioscommesse o, al limite, di Calciopoli, dove in fin dei conti la si può sempre buttare sul piano del tifo invece che su quello della responsabilità di singole persone.