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Vent'anni dopo il Buffon di Mosca

Vent'anni dopo il Buffon di Mosca

Redazione

5 settembre 2017

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Uno degli argomenti sempreverdi dopo una disfatta azzurra è quello secondo cui all'estero, un mitico 'estero' spesso imprecisato, i calciatori di talento entrano in prima squadra qualche anno prima dei nostri. A volte è vero, come in Spagna, ma allora non si capisce come mai sembri lesa maestà parlare in un certo modo del trentanovenne Gigi Buffon, ancora validissimo ma con alle spalle un Donnarumma che potrebbe davvero essere suo figlio avendo 21 anni di meno. Per non parlare degli allenatori che alla Roma hanno osato ridurre il minutaggio di un Totti quasi al capolinea, o di tante bandiere quasi accompagnate alla porta, da Zanetti a Del Piero. Ma il caso del giorno è ovviamente Buffon, ben consapevole che un errore alla sua età viene interpretato come segnale di declino, mentre una grande partita ispira subito il temino del genere 'Il vecchio leone che non si arrende'. Ci è passato anche Dino Zoff, che per motivi probabilmente di rivalità storica non è mai stato caloroso nei complimenti a Buffon, prima di vincere un Mondiale a 40 anni con la gemma di quella parata fantastica sul colpo di testa di Oscar (ma il tiro di Socrates forse sia Bordon sia Galli l'avrebbero parato). L'aggancio storico è ovviamente con lo spareggio mondiale di 20 anni fa con la Russia, che nelle prossime settimane di sicuro verrà rievocato ogni giorno: ci portiamo quindi avanti. Quell'Italia non aveva un in porta un vero titolare, ma di sicuro quel titolare non era Buffon: le qualificazioni mondiali (con Sacchi ancora in panchina, poco prima di tornare al Milan) erano iniziate con Toldo, proseguite con Peruzzi e adesso era tornato il turno di Pagliuca, che nell'Italia di Cesare Maldini sarebbe stato titolare anche in Francia, in una squadra che si presentò quel 29 ottobre a Mosca in assetto da battaglia: difesa a cinque, pietosamente definita a tre, tre centrocampisti giudiziosi e davanti Vieri e Ravanelli a rincorrere lanci fra il lungo e il lunghissimo. E battaglia fu, una delle più emozionanti della storia azzurra, in un campo ghiacciato e sotto la neve, con poco gioco ed entrate oltre il confine della legalità: la più brutta fu quella di Kanchelskis proprio su Pagliuca, alla mezz'ora, con un antefatto da serie A (in sintesi: il russo all'epoca nella Fiorentina aveva subito un trattamento simile da Taribo West e il portiere aveva preso le difese, almeno a parole, del compagno in maglia interista) e il risultato di un diciannovenne Buffon che Maldini fu costretto a gettare nella mischia a  freddo, in tutti i sensi: l'allora ragazzo dimostrò subito la sua cilindrata, dando sicurezza alla difesa e parando il parabile (in particolare un tiro di Alenichev). Finì 1-1, gol di Vieri a inizio del secondo tempo e autogol quasi immediato di Cannavaro, con la qualificazione già mezza conquistata e poi confermata il 15 novembre a Napoli, con in porta Peruzzi. Quel Buffon in campo non fu insomma una scelta tecnica, ma indotta dalle circostanze. Andò bene e per quasi due decenni Buffon è stato fra i migliori portieri del mondo. Lo sarebbe diventato anche senza quell'entrata di Kanchelskis, ovviamente, ma forse la sua storia azzurra sarebbe stata diversa, lunga ma non 170 partite: da non dimenticare che se non si fosse infortunato sarebbe stato il titolare azzurro già ad Euro 2000.

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