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Senso di colpa verso Bearzot

Redazione

26 settembre 2017

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Novant'anni fa ad Aiello del Friuli nasceva Enzo Bearzot e il pretesto per ricordarlo non è mai troppo labile, visto che Bearzot è per distacco il più amato commissario tecnico della storia azzurra e uno dei pochi personaggi davvero condivisi a prescindere dal tifo di club. Con il senno di poi, chiaramente, perché con quello della contemporaneità nemmeno lui è sfuggito ad attacchi mediatici condotti quasi sempre in base al mercato di riferimento. Con tutto il rispetto per Beccalossi, Bruscolotti, Colomba, Pruzzo, Mancini, Virdis, Di Bartolomei e altri che forse dimentichiamo. Ma non era soltanto colpa dei giornalisti cattivi, perché ai tempi del Mondiale 1982 il c.t. riuscì a non essere amato né dal presidente federale Sordillo né da quello di Lega Matarrese. Nei suoi 11 anni da capoallenatore, dopo l'uscita di scena di Fulvio Bernardini, ci ricordiamo almeno una decina di partite in Italia in cui la sua Nazionale fu contestata platealmente dal pubblico presunto di casa. Memorabili i fischi dell'Olimpico durante Italia-Jugoslavia del 1978, amarissimi quelli della sua Udine durante un'amichevole con la Germania Est del 1981, mentre raramente (e mai una partita di qualificazione mondiale) l'Italia di Bearzot giocò a San Siro per paura che fossero fischiati i tanti juventini dell'undici titolare. Lo stesso c.t. affrontò di petto il problema, affermando prima dell'Europeo del 1980, giocato in Italia in pieno scandalo calcioscommesse, che gli azzurri avrebbero avuto più possibilità di vittoria se si fosse giocato all'estero. Tanti allenatori azzurri sono stati linciati dopo un fallimento mondiale, da Fabbri a Prandelli, ma nessuno lo è stato 'prima' nei termini in cui lo fu Bearzot. Che andò avanti per la sua strada, puntando sulla migliore squadra schierabile più che sui 22 migliori giocatori italiani presi singolarmente. Facendo errori, come tutti, ma facendoli con la sua testa e non sotto dettatura. Per questo si può dire che nel grande amore postumo per il Vecio e i suoi valori, ben diversi da quelli del calcio di oggi (ma anche di quello del 1982), c'è anche una fortissima componente di senso di colpa collettivo.

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