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La politica del Barcellona

La politica del Barcellona

Redazione

1 ottobre 2017

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La partita giocata e vinta 3-0 a porte chiuse con il Las Palmas al Camp Nou, nel giorno del referendum per l'indipendenza e degli incidenti con la polizia spagnola, ha probabilmente segnato un punto di non ritorno nella storia del Barcellona. Che è quasi sempre stato il simbolo dell'identità catalana, però mai si è mosso in un contesto politico incerto come quello attuale. Perché in diversi momenti della sua gloriosa storia il 'Més que un club' è stato visto come simbolo dell'opposizione al potere centrale, ma soltanto quando il potere centrale era di natura dittatoriale. Fu così negli anni Venti con la Spagna governata da Miguel Primo de Rivera, quando la politicizzazione dei tifosi del Barcellona in chiave anti-dittatura, più che pro Catalogna, portò addirittura alla chiusura per sei mesi del mitico Camp de Les Corts (inaugurato nel 1922 e che fino al 1957, anno del trasferimento al Camp Nou, sarebbe stata la casa blaugrana) e a minacce di scioglimento, con Joan Gamper messo nel mirino come fiancheggiatore del nazionalismo catalano (da ricordare che il fondatore e storico presidente era svizzero). Molto più pesante l'impatto della guerra civile degli anni Trenta, quella dalle cui macerie sarebbe emerso Francisco Franco. Senza mettersi qui sul Guerino a fare il Bignami di un conflitto molto complesso e con l'intervento più o meno palese di altri stati, fra cui l'Italia, si può dire che anche in questa fase il Barcellona fu moltissimo di più di un club di calcio. Nel 1936 il suo presidente, Josep Sunyol, fu ucciso dalle truppe falangiste, e negli anni seguenti al Barcellona venne addirittura cambiato il nome (diventò Club de Futbol Barcellona), impedendogli di usare qualsiasi simbolo di catalanità. Così indifferentemente il barcellonismo è stato cavalcato sia dagli indipendentisti, in parte di destra (per usare categorie novecentesche), sia da catalani, spagnoli e anche non spagnoli di sinistra, generando più di un equivoco e mitizzazioni degne di miglior causa. In pieno franchismo, poi, qualsiasi episodio riguardante il Barcellona veniva letto in chiave politica e la rivalità con il Real Madrid divenne quella di oggi, più per volontà dei catalani che del Real. Da Kubala a Cruijff, passando per Luisito Suarez e tanti altri campioni, non è mai stato solo calcio. Interessante anche il capitolo ultras, visto che il gruppo del Barcellona più famoso, i Boixos Nois, ha espresso tutte le contraddizioni che stiamo vedendo in queste ore nelle vie di Barcellona: nati nel 1981 come separatisti catalani di sinistra, fra un incidente e l'altro hanno avuto un'evoluzione verso destra e comunque da molti anni non possono manifestarsi con simboli o altro all'interno del Camp Nou anche se ovviamente ci sono. In tutte le ultime vicenda la posizione ufficiosa del Barcellona è stata abbastanza equilibrata, cioè pro-voto ma non necessariamente pro indipendenza, con Piqué ad essere un po' il simbolo di questo catalanismo moderato (si è comunque detto disposto a lasciare la nazionale spagnola, se capisse di essere diventato un problema) mentre più massimalista appare, da lontano, Guardiola. Silenti i tanti sportivi catalani contro la secessione. Nessun 'esperto' ha idea di cosa accadrà adesso, ma rimanendo nell'orticello calcistico è probabile che la Liga abbia vita più lunga della Spagna.

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