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Il conflitto fra Helenio Herrera e il campione italo-argentino da poco scomparso fece epoca, con uno schema ritrovabile in tanti casi dei giorni nostri. Che non deve però far dimenticare la grandezza del calciatore...
La morte di Antonio Valentin Angelillo, a 80 anni, ha fatto di nuovo parlare di un grande campione con una carriera inferiore rispetto alle premesse di stella ventenne della nazionale argentina che vinse la Coppa America del 1957 schierando un altro grande attaccante come Humberto Maschio ma soprattutto Omar Sivori, in una squadra allenata da Guillermo Stabile, il capocannoniere del primo Mondiale. Di lì a poco Angelillo sarebbe passato dal Boca Juniors all’Inter presieduta da Angelo Moratti: un buonissimo campionato di ambientamento e poi la stagione del record, tuttora valido considerando le 18 squadre (quello assoluto è stato battuto da Higuain), 33 gol.
Il punto di svolta di questo attaccante completo, che per lo spazio di campo coperto era stato in gioventù paragonato a Di Stefano, fu la mancata convocazione per un Mondiale 1958 a cui l’Argentina avrebbe in teoria dovuto partecipare da favorita: vigeva infatti l’incredibile regola che chi giocava in club stranieri non potesse vestire la maglia dell’Albiceleste e così lui, Sivori (passato alla Juventus) e Maschio (all’Atalanta) furono lasciati a casa. Tutti e tre i cosiddetti ‘Angeli dalla faccia sporca’ sarebbero, più per rancore verso la madrepatria che per convinzione, diventati italiani: Sivori e Maschio parteciparono con scarsa fortuna al Mondiale cileno, Angelillo nemmeno fu convocato dalla leggendaria ‘commissione’ (allargata, stando alla testimonianza di Altafini, anche ad alcuni giornalisti, Brera in testa) anche perché nel frattempo la sua stella era diventata meno brillante.
La parte più ricordata della sua carriera di calciatore, che gli regalò oltretutto il marchio poco simpatico di viveur, fu il suo addio all’Inter per volere di Helenio Herrera, poco prima che quella squadra si mettesse a vincere tutto in Italia e nel mondo con attaccanti inferiori ad Angelillo, con tutto il rispetto per Cappellini, Milani e Peirò. La colpa storica di questa operazione è di Herrera ed è probabile che sia meritata, visto che Angelillo era un pupillo di Moratti, che lo difese fino all’ultimo e fece in modo che i suoi altri anni buoni se li giocasse alla Roma invece che in Juventus e Milan. Cosa era successo? Intanto Angelillo si era messo non solo a segnare meno che nell’anno dei record, ma anche a correre poco, come se fosse scoppiato: in quell’ultima stagione nerazzurra i compagni, ancora prima di Herrera, gli preferivano infatti Firmani. Si allenava meno? Di sicuro negli anni precedenti aveva chiesto tanto al suo fisico, forse troppo, per diventare davvero un altro Di Stefano. Herrera cercò senza convinzione di recuperarlo, facendolo giocare nel campionato Cadetti (altro non era che il campionato riserve, che oggi sembra tanto difficile programmare) e dandogli qualche chance in campionato, ma la notizia della sua relazione con quella che fu definita ‘La cantante Ilya Lopez’ (vero nome Attilia Tironi, bresciana di quattro anni più anziana, ballerina in un night frequentato da Angelillo) offrì ad Herrera un pretesto in più per tenerlo ai margini.
Va detto che i tifosi dell’Inter erano quasi tutti schierati con Angelillo e contro Herrera, che a loro giudizio snaturava il DNA della squadra, grandi talenti senza necessariamente vincere, mentre Herrera faceva giocare l’Inter come una provinciale. Si iniziò parlare di un clamoroso scambio con il Barcellona per Suarez, ma soprattutto dell’arrivo del grande Uwe Seeler e di quello di Hitchens (questo poi davvero avvenuto). Insomma, Herrera o non Herrera per Angelillo l’avventura all’Inter era finita. Moratti lo cedette alla Roma il 5 giugno 1961, poco prima del famoso recupero con la Juventus con la Primavera nerazzurra in campo e il 9-1 per Sivori e compagni: incassò, con la morte nel cuore, 230 milioni di lire rendendo così esplicita la sua scelta di puntare su Herrera, anche se la stagione seguente sarebbe stato più volte sul punto di cacciarlo. L'eterno conflitto, che i più intelligenti riescono a rendere soltanto latente, fra l'allenatore e la sua stella: di solito scegliere l'allenatore è un errore, ma in questo caso, con il senno di poi, forse non lo fu.
Angelillo avrebbe comunque disputato quattro buone stagioni nella Roma, arretrando un po’ la sua posizione (alla Hidegkuti, si scrisse, alla Totti per i più giovani), prima di chiudere al Lecco e al Milan, con cui vinse, da riserva, lo scudetto 1967-68. Avrebbe poi avuto una discreta carriera da allenatore in provincia, facendo bene soprattutto all’Arezzo (nella squadra di Neri, Gritti e Pelliocanò), per poi tornare all’Inter di Moratti (Massimo) come osservatore per il Sudamerica, segnalando fra gli altri Javier Zanetti. Senza la rigidità del governo argentino e senza Herrera staremmo parlando di uno dei grandi del calcio, ma è andata come è andata. Non certo male, comunque, anche se Angelillo ha sempre ritenuto Herrera un sopravvalutato e di sicuro uno che gli ha limitato la carriera. E con Ilya come andò a finire? Fu davvero un grande amore, perché lei era favorevole a un suo ritorno al Boca, ma poi lo seguì a Roma e quasi lo costrinse ad una vita da atleta, in attesa dell’annullamento del suo (di lei) precedente matrimonio. Nella capitale trovarono il loro ambiente, per questo la cessione al Milan nel 1965 fu presa male da entrambi. La storia durò tutti gli anni Sessanta, per poi finire. Angelillo si sarebbe sposato qualche anno dopo con Bianca, dalla quale avrebbe avuto due figli, stabilendosi ad Arezzo. C'è chi sostiene che la vera grandezza sia non sfruttare il 100% del proprio potenziale, ma pensando alla propria carriera Angelillo non aveva certo questa teoria: raramente abbiamo colto tanta amarezza per situazioni analoghe, a mezzo secolo di distanza.
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