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La squadra presa in mano da Heynckes ha conquistato il suo sesto campionato consecutivo, con una superiorità imbarazzante sugli avversari. Non si tratta certo dell'unico torneo in Europa con un vincitore annunciato, ma in Germania rovesciare il potere costituito è ancora più difficile...
La Bundesliga vinta in scioltezza dal Bayern Monaco, con 5 giornate di anticipo e 20 punti di vantaggio sullo Schalke 04 secondo, sottolinea una volta di più che la Champions League e il suo indotto stanno falsando i campionati nazionali, con l’eccezione della Premier League, dove le corazzate non sono una come in Germania, Italia e Francia, o due come in Spagna, ma sei, con le cosiddette piccole che comunque possono contare sulla ripartizione dei diritti televisivi più ‘comunista’ di tutte, con la più ricca a prendere soltanto il 50% in più della più povera.
L’impresa di Jupp Heynckes, a 72 anni alla sua quarta incarnazione come allenatore della squadra tedesca più famosa, non è stata tanto in campionato dove ha recuperato 5 punti di svantaggio sul Borussia Dortmund limitandosi a mettere il pilota automatico, quanto in Champions League dove è con un piede già in semifinale: senza troppa rigidità tattica, anche se le partite vere se le gioca quasi tutte con il 4-3-3, il campione del mondo 1974 (era nella formazione titolare, ma un infortunio lo tenne fuori dalle partite finali) ha fatto digerire a Robben un abbassamento di status, ha recuperato psicologicamente Thomas Müller, James e Ribery, ha blindato il centrocampo con Javi Martinez centrale in mezzo a Vidal e Thiango Alcantara, ha ben gestito Coman che sulla carta di spazio non ne aveva tantissimo. Insomma, nessuna genialata ma il carisma di un uomo percepito da tutti come uomo Bayern nonostante da giocatore sia stato un mito del Borussia Mönchengladbach. Cosa che non avveniva con Ancelotti, che peraltro il campionato l’aveva vinto anche lui, a prescindere dalle idee tattiche (in Germania con un 4-2-3-1 parente strettissimo del suo 4-4-2) e dalle sue preferenze tecniche (tipo James e soprattutto Tolisso, molto ridimensionato nella gestione Heynckes). Su tutto poi i gol di Lewandowski, che li ha segnati e li segnerebbe con qualuqne allenatore.
Ma dicevamo della Bundesliga, che nei suoi 55 anni di vita è stata vinta dal Bayern 27 volte (un altro titolo nazionale risale al 1931-32, in una Germania leggermente diversa da quella di oggi). Significativo, parlando di attualità, che l’abbia conquistata negli ultimi sei anni con tre allenatori diversi (Heynckes, Guardiola e Ancelotti), con differenze imbarazzanti rispetto alla concorrenza e che a volte rendono il campionato poco allenante per la Champions, come del resto è anche per Juventus (che almeno però ha il Napoli a tenere viva la concentrazione) e PSG. Nel decennio che ha preceduto questo sei su sei, quindi dal 2002 al 2012, la Bundesliga era stata vinta cinque volte dal Bayern ma anche due dal Borussia Dortmund e una da Werder Brema, Stoccarda e Wolfsburg.
Cosa è successo poi? Le regole generali della lega non sono cambiate, anzi la più famosa di tutte (la 50 + 1) è stata difesa nonostante l’ingresso in campo europeo dei soldi no limits di arabi e russi: in pratica la proprietà dei club deve essere in maggioranza di membri-soci del club stesso, comunque persone fisiche, in modo che l’identità e il radicamento sul territorio sia difeso. Fanno eccezione le squadre aziendali, come il Bayer Leverkusen (della Bayer, appunto) e il Wolfsburg (Volkswagen), ma la linea è chiara: non ci deve essere il multimiliardario della situazione che arrivi dall’estero, e nemmeno dalla Germania, che pompi nel club soldi non generati dal sistema. La conseguenza diretta di questa situazione è che chi può contare con continuità su grandi introiti esterni alla Bundesliga ha un vantaggio competitivo enorme. Una versione ancora più restrittiva del fair play finanziario UEFA, che già di suo rende difficilissime le scalate. Sia nel mondo Champions sia, a maggior ragione, su scala locale. Conclusione: si sta formando una élite di squadre intoccabile e inamovibile, che con le proprie realtà nazionali c'entra sempre meno. Così fra quarant'anni saremo ancora qui (speriamo) a celebrare Bagnoli e Scopigno.
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