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L'allenatore dell'Arsenal ha annunciato che a fine stagione lascerà la squadra che ha traghettato dall'era di Highbury a quella dell'Emirates Stadium. Vincendo le cose vere soprattutto però nel suo primo decennio...
Dopo ventidue anni di successi di critica e un po’ meno, soprattutto negli ultimi tempi, di pubblico, Arsene Wenger ha annunciato il suo addio alla panchina dell’Arsenal a fine stagione. Dalle parole dell’allenatore alsaziano sembra che la scelta sia stata concordata con il club, ma non avendo piazzato microspie nell’ufficio del chief executive Ivan Gazidis è ragionevole ipotizzare che alla bella età di 69 anni Wenger abbia voluto chiudere dignitosamente senza sentirsi un sopportato. I soldi e la cultura per goderseli non gli mancano, senza contare il phisique du rôle perfetto per una nazionale importante. Rimandiamo ovviamente a Wikipedia e ai tanti ottimi siti di statistica per ricordare vittorie e riconoscimenti di Wenger, cercando di rispondere a caldo a questa domanda: maestro di calcio o bluff mediatico?
Detto che una cosa non esclude l’altra, cerchiamo di andare oltre le ultime due stagioni in cui l’Arsenal non è arrivato nelle prime quattro di Premier League (le uniche due in ventidue anni di Wenger), anche se in questa potrebbe ancora ottenere il suo posto al sole vincendo l’Europa League. I Gunners non vincono il campionato dal 2004 e nel nuovo calcio inglese la FA Cup (Wenger ne ha vinte 7) conta molto meno che in quello che abbiamo adorato. Il punto di svolta è stato a metà dello scorso decennio, con il costosissimo e doloroso trasferimento da Highbury all’Emirates, che nel lungo periodo si è rivelato azzeccato ma nel breve e nel medio è coinciso con l’emergere di due corazzate finanziarie come il Chelsea prima e il Manchester City poi, che insieme alle altre grandi e a realtà che hanno ballato per poche o una sola stagione come Everton o Leicester City hanno reso la Premier League molto più competitiva di quella che Wenger contendeva ‘soltanto’ al Manchester United di Ferguson e della Class of ’92, con il Liverpool giusto a dare fastidio.
Tatticamente Wenger non ha inventato niente, partendo dal 4-4-2 ha giocato in molti modi diversi (memorabile i 4-1-4-1 con il miglior Fabregas) ma sempre nell’ottica di coprire il campo e di costruire. È stata la qualità diversa dei giocatori, più che la presunta bollitura di Wenger, a rendere l’Arsenal dell’era Emirates una squadra di livello medio-alto ma con limiti ben chiari: praticamente abbonata agli applausi in patria e agli ottavi di finale di Champions League, con qualche rimpianto ma sempre con la finale 2006 persa di un niente contro il Barcellona di Rijkaard come ricordo ineguagliabile. Più delle analisi è istruttivo il ricordo dei giocatori chiave del primo decennio di Wenger: Bergkamp, Pires, Henry, Vieira (che Wenger vede come suo successore ideale), Overmars, Campbell, Cole, Kolo Touré, Ljungberg, Fabregas, Van Persie, Lehmann, Gilberto Silva, Hleb… Campioni che davano lezioni di calcio in una Premier League, ricordiamolo ancora, in cui le grandi erano due o tre, comunque non sei come adesso.
È significativo che la costruzione dell’Emirates Stadium sia iniziata nel 2004, anno dell’ultimo campionato vinto, e che l’impianto sia stato inaugurato nel 2006 poco dopo il più grande risultato europeo della storia dell’Arsenal. Il costo non è stato eccessivo, con il senno di poi: circa 500 milioni di euro al valore odierno, per un club che nel 2016-17 ha fatturato l’equivalente di 482 milioni di euro (record) con una gestione sana (il personale incide sul fatturato per circa il 40%) e buone prospettive in ogni senso. Merito di Wenger, aziendalista vero. Insomma, anche Highbury nel 1913 era una novità… La colpa che gli imputiamo è quella di avere reso l’Arsenal una squadra come le altre, che potrebbe essere londinese come madrilena, parigina come milanese. Un problema un po’ di tutti, che fra l’altro lo stesso Wenger in molte interviste ha sottolineato, senza però far seguire la pratica alla teoria. Fra Seaman-Dixon-Bould-Adams-Winterburn e la Babele attuale c’è tutta la differenza fra il calcio inglese e un calcio internazionale, spersonalizzato, che piace agli storyteller e ai turisti-consumatori. Conclusione? Un buon allenatore che ha vinto nel vecchio calcio ma che ha anche saputo con intelligenza mettere le basi di quello nuovo. Fortunato nel capitare al posto giusto nel momento giusto, cioè nell'Inghilterra post Euro '96 con la Premier League già lanciata, confrontandosi all'inizio quasi soltanto con allenatori di scuola britannica. Nel suo primo anno l'unico non britannico, oltre a lui, era Ruud Gullit... I tifosi dell'Arsenal lo rimpiangeranno di sicuro, anche se se ne va con qualche anno di ritardo.
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