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Il club catalano ha conquistato la sua settima Liga negli ultimi dieci anni, con la vittoria mai in discussione fin dall'inizio. E con l'addio di Iniesta il fuoriclasse argentino diventerà in propozrione più importante di quanto già sia...
La vittoria del Barcellona nel campionato spagnolo non è mai stata in discussione, nonostante la mazzata pisicologica e sportiva della partenza di Neymar per Parigi. Troppo brutta la partenza di Real e Atletico Madrid, troppo regolare il cammino della squadra di Valverde che al momento, a tre giornate dalla fine della Liga, è matematicamente campione e anche imbattuta. Inutile però negare che il settimo titolo nazionale nelle ultime dieci stagioni abbia un retrogusto amaro, nonostante le prodezze di Leo Messi possano ingannare a chi delle partite guardi solo gli highlights. I motivi sono diversi, tutti abbastanza pesanti.
1) Non è un delitto uscire nei quarti di Champions, nemmeno per il Barcellona, ma essere usciti in questo modo fa male: onore alla Roma e alla sua grande rimonta, ma dall'era Cruijff ad oggi un Barcellona europeo così dimesso come quello dell'Olimpico non si era mai visto, nemmeno l'anno scorso in occasione del 4-0 preso dal PSG. Il dolore è direttamente proporzionale al cammino del Real Madrid, che da sempre mette l'Europa in cima ai suoi pensieri e che prende con filosofia i piazzamenti in campionato (l'anno scorso peraltro vinto). 2) Con Valverde il processo di verticalizzazione della squadra, già iniziato con Luis Enrique, è stato portato a compimento. Non è solo una questione di modulo, anche se dopo Natale il 4-4-2 è diventato uno schema quasi fisso, ma di atteggiamento e di caratteristiche dei singoli. Poi il DNA non si può cancellare, visto che tuttora i blaugrana dominano la Liga anche come semplice possesso palla (circa il 64%, con il Real sul 60 e l'Atletico intorno al 48), ma le partite sono ben visibili a tutti: meno manovre avvolgenti e più fiammate centrali.
3) Gli eroi del Barcellona di Guardiola, modello probabilmente insuperabile, sono quasi scomparsi. A inizio stagione Mascherano ha salutato ed è andato in Cina, fra poco lo seguirà con immesno dolore (suo e di tutti) Andres Iniesta. Delle colonne di quella squadra rimangono Piqué, per lui altra grandissima stagione (e come difensore puro è meglio di una volta), Busquets e ovviamente Messi. 4) I grandi acquisti sono stati quasi tutti sbagliati, o come minimo strapagati. I 115 milioni regalati al Borussia Dortmund per Dembelé gridano vendetta e anche i 120 dati al Liverpool per Coutinho non sono sembrati una grande idea. 30 milioni e passa per mettere Semedo sulla destra e 40 per Paulinho a a centrocampo non sono uno scandalo in assoluto, ma questi giocatori di classe medio-bassa fino a pochi anni fa il Barcellona li produceva in casa, nella sua mitizzata Masia.
5) Collegata al punto 4 è la scarsa catalanità della squadra, che in un anno politicamente pesante come quello attuale, fra Puigdemont e tutto il resto, ha reso per la prima volta il Barcellona qualcosa di scollato dalla sua tradizionale realtà sociale. Due settimane fa contro il Celta, per la prima volta da tempo immemorabile, il Barcellona si è presentato in campo senza alcun giocatore passato nel suo settore giovanile. Una cosa che i tifosi catalani hanno preso male e che dovrebbero prendere male anche i normali appassionati di calcio europei: non si sente il bisogno di una squadra senza identità e intercambiabile come tante altre, ormai la maggioranza.
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