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L'addio al club bianconero come giocatore potrebbe portare a un futuro dietro la scrivania. Ma il condizionale è d'obbligo, visto che i precedenti dicono che solo Boniperti è riuscito davvero a effettuare questo salto culturale...
L’addio alla Juventus, ma forse non al calcio giocato, di Gigi Buffon si presta a molte considerazioni sull’attualità e in chiave storica. Il punto di partenza è che, al netto di una retorica ‘Grande campione grande uomo’ forse degna di miglior causa, ancora nel maggio 2018 il quarantenne Buffon è probabilmente il miglior portiere italiano. Se stasera l’Italia dovesse per assurdo giocare la finale del Mondiale, Mancini (per sua forma mentale attento al presente) manderebbe in campo Buffon invece che il Donnarumma degli ultimi mesi, in piena involuzione tecnica, il regolare Sirigu e il Perin che sta andando bene ma che a 25 anni e mezzo non ha mai (!) giocato una partita internazionale a livello di club e in assoluto, tolte le giovanili, vanta solo 17 minuti nell’Italia di Conte in amichevole contro l’Albania. Giusto insomma voltare pagina pensando al futuro, ma giusto anche ricordare il presente ed un recentissimo passato che ha visto Buffon essere considerato nel 2017 dalla FIFA il miglior portiere del mondo.
Al di là delle belle parole e di fumose promesse, la realtà è che Buffon è stato accompagnato alla porta, e non quella in campo, dalla Juventus nel momento stesso in cui l’estate scorsa è stato preso Szczesny dall’Arsenal. Una logica non molto differente rispetto a quando nell’ottobre 2011 Andrea Agnelli annunciò che quella stagione sarebbe stata l’ultima di Del Piero alla Juventus. Del Piero, colto di sorpresa (ma aveva 37 anni e nel suo ruolo nuon valeva certo il Buffon di oggi), la prese male e poi anche peggio, quando capì che un suo futuro dirigenziale non rientrava nemmeno fra le ipotesi ad uso dei giornali e nelle mezze promesse. Arriviamo al punto: che continui a giocare o no, Buffon questo futuro dirigenziale lo vagheggia davvero e Agnelli in questo caso glielo ha fatto almeno sperare invitandolo a studiare per fare quando sarà il momento il dirigente. Non esattamente una promessa, comportamento che rientra nello stile Juventus e che nel corso dei decenni si è rivelato vincente mentre in altri grandi club vecchie glorie senza cultura e senza voglia di migliorarla venivano (e vengono) usate per tenere buoni i tifosi.
Nella storia della Juventus, dove i campioni non sono certo mancati, soltanto tre ex giocatori hanno contato qualcosa da dietro una scrivania bianconera. Giampiero Boniperti smise di giocare nel 1961, a 33 anni, per occuparsi prima delle aziende di famiglia (la sua, che era benestante a prescindere dal calcio) e poi per iniziare un lungo apprendistato nel mondo Agnelli che lo avrebbe portato nel 1971 a diventare presidente-manager della Juventus, conservando questa carica fino al 1990 e con tre anni di tempi supplementari da amministratore delegato dopo l’anno di Montezemolo. Roberto Bettega smise con la Juventus anche lui a 33 anni, dopo la finale di Coppa dei Campioni contro l’Amburgo, per giocare un anno nei Toronto Blizzard e poi iniziare varie attività extracalcio, affiancate all’opinionismo televisivo e ad una vicinanza con Umberto Agnelli che sarebbe stata decisiva nel 1994 quando finì l’era Boniperti ed iniziò quella di Giraudo e Moggi, con Bettega vicepresidente con molto meno potere rispetto agli altri due della Triade (che infatti lo tenevano all'oscuro di molte questioni pesanti). Di sicuro fu l’unico ad uscire relativamente bene da Calciopoli, rimanendo come consulente nell’anno della B e con un breve ritorno operativo alla Juventus di Blanc prima dell’era Marotta. Pavel Nedved ha chiuso con il calcio giocato in maglia Juve nel 2009, a 37 anni, per tornare l’anno dopo come consigliere d’amministrazione e soprattutto ‘vero’ consigliere calcistico di Andrea Agnelli, diventando vicepresidente tre anni fa. Non che abbia vere responsabilità operative, anzi, nel club gestito da Marotta (che nel complesso mondo Agnelli-Elkann è considerato la figura di raccordo fra John Elkann e Agnelli, con ovvia tendenza verso Elkann che rappresenta la parte forte della proprietà), ma è comunque ascoltato e piace ai tifosi. Nella sostanza l'unico ex campione che davvero ha gestito la Juventus rimane Boniperti.
Qualcuno, con uno status da giocatore più basso rispetto a Boniperti, Bettega e Nedved, ha lavorato in società e in certi casi anche con responsabilità reali (si pensi a Francesco Morini come direttore sportivo o anche a Pietro Giuliano, che un minimo passato da giocatore l'aveva avuto), ma la linea degli Agnelli è sempre stata chiara: il campione va ringraziato e ricordato, con poche eccezioni legate a un rapporto personale con i padroni e preferibilmente con ruoli calcistici: si pensi a Parola, Zoff, Capello, Deschamps e a Conte. Difficile che da dirigente Buffon accetti un ruolo alla Totti (qualcuno ha capito cosa faccia alla Roma, a parte presenziare ai sorteggi?), difficilissimo che gli offrano qualcosa in più se non farà qualche esperienza altrove.
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