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L'attaccante non vestiva la maglia azzurra dal Mondiale in Brasile ed è tornato a farlo grazie a Mancini, dopo tante stagioni sostanzialmente buttate. Da lui e per colpe sue, ma anche dall'Italia...
L’esordio di Roberto Mancini sulla panchina dell’Italia, nell’amichevole di San Gallo contro l’Arabia Saudita, sarà ricordato anche, se non soprattutto, per la riproposizione di Mario Balotelli al centro dell’attacco azzurro. Una scelta di grande impatto emotivo, che fa riflettere sul peggior quadriennio azzurro di sempre: quello del buon Europeo di Conte con una squadra da lacrime e sangue, modesta per scelta, seguito dalle orrende qualificazioni mondiali con Ventura, perfezionate con l’eliminazione per mano di una Svezia impresentabile e ricordate dallo stesso ex c.t. in un’intervista con Fabio Fazio, totalmente priva di autocritica o anche soltanto di consapevolezza di quanto sia successo. Fuori da un Mondiale a 32 squadre, ancora non ci crediamo.
È significativo che Balotelli non veda la maglia azzurra dal vivo dal Mondiale 2014, quando l’Italia di Prandelli fu buttata fuori da un girone in cui a passare agli ottavi furono Costa Rica e Uruguay. Eppure fino a 4 giorni prima di quel 24 giugno 2014 il Mondiale dell’Italia e la carriera di Balotelli sembravano di tutt’altro spessore. Il 20 ci si apprestava a giocare con il Costarica, dopo l’ottimo esordio contro l’Inghilterra: vantaggio di Marchisio, pareggio di Sturridge e gol della vittoria proprio di Balotelli su cross di Candreva. In quel momento storico Balotelli era già in declino, a nemmeno 24 anni, dopo aver toccato l’apice nel 2012 vincendo la Premier League con il Manchester City di Mancini e venendo inserito fra i 23 candidati votabili per il Pallone d’Oro. Ecco, quello era lo status del Balotelli ventiduenne: un giocatore di prima fascia mondiale, con possibilità di giocare in ogni grande club.
Cosa sia accaduto da lì in poi è storia nota: i problemi disciplinari, uniti alla voglia di tornare in Italia, lo fecero approdare nel gennaio 2013 in un Milan minore (si fa per dire, perché la squadra di Allegri era in Champions League) dove avrebbe giocato discretamente, anche con buone statistiche, ma quasi da kicker e non più ai livelli fisici del passato. Un Balotelli abbastanza simile, guardando le sue partite, a quello degli ultimi due anni a Nizza: fiammate di classe ma non più la strapotenza del Mario 2012, quello che fra le altre cose aveva distrutto la Germania nella semifinale degli Europei.
A questo punto arrivò il Mondiale, vero spartiacque fra una grande carriera e un discreto (ma ricchissimo) vivacchiare. Dopo l’Inghilterra arrivarono le occasioni sbagliate con il Costa Rica e il mediocre primo tempo con l’Uruguay, con Prandelli che all’intervallo lo lasciò negli spogliatoi preferendogli Parolo, tutto in quattro giorni che hanno segnato la carriera di Balotelli più dell’evidente antipatia dei senatori azzurri (Buffon, De Rossi, Chiellini, Pirlo fino a quando c’è stato) nei suoi confronti. Un atteggiamento che avrebbe poi portato all’ostracismo nei suoi confronti da parte di Conte (che lo convocò solo una volta) e di Ventura, nonostante in attacco non avessimo esattamente Cristiano Ronaldo e Higuain. Un’antipatia con radici lontane ma esplosa proprio in Brasile, prima durante e dopo l’eliminazione: a un certo punto Balotelli pensò di rimanere lì in vacanza, invece che tornare in Italia con il resto della squadra, per poi scusarsi con un Prandelli che si era già dimesso (il confronto con Ventura è impietoso).
Il passaggio al Liverpool, pessima idea di Raiola che non si era informato circa le idee di Rodgers, e il triste ritorno al Milan da mezzo infortunato lo portarono a passare al Nizza, nell’estate 2016, per… niente. E non perché fosse in scadenza di contratto, ma perché il Liverpool aveva ritenuto che non valesse niente. Quello che a 21 anni e mezzo era tra i giocatori più ricercati del mondo, a 25 e mezzo era diventato uno dei tanti. Le prestazioni nella triste Ligue 1 sono state degne di questo Balotelli ridimensionato: tanti gol (43 in 66 partite totali con il Nizza, coppe comprese), ma non più il Balotelli tecnicamente arrogante che quando aveva diciassette anni Mancini schierava senza problemi in serie A in vari ruoli. Il tempo del Pallone d’Oro è passato per sempre, ma per fare buone cose in Nazionale non è troppo tardi. Anche perché la concorrenza è quello che è.
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