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L'ex commissario tecnico azzurro a 70 anni si è rimesso in gioco con il Chievo. La carriera post Italia dei suoi predecessori non induce all'ottimismo, ma ci sono casi in cui l'età può non essere un problema...
La firma di Giampiero Ventura con il Chievo è indubbiamente un atto di coraggio, per Ventura e per il Chievo. Non per il valore dell’allenatore, che prima della tragica esperienza con la Nazionale aveva quasi sempre fatto bene e in contesti molto differenti fra di loro in una carriera durata quattro decenni, ma perché l’esperienza sulla panchina azzurra è di quelle che bruciano emotivamente: tanto è vero che nessun commissario tecnico azzurro ha dato il meglio di sé dopo aver guidato l’Italia.
Qualcuno, come Conte, Donadoni e Trapattoni, è rimasto sui suoi livelli. Qualcun altro, come Prandelli, è ancora alla ricerca di una strada. La maggioranza dopo la fine dell’esperienza alla guida dell’Italia o si è ritirata (Bearzot, Pozzo) o ha chiuso in tono minore (Lippi, Sacchi, Maldini, Zoff, Vicini, Valcareggi, Fabbri), minore almeno rispetto al proprio passato. Va detto che questa situazione è comune, fra gli occupanti delle panchine nazionali più prestigiose del mondo: fra Brasile, Argentina, Germania, Francia, Inghilterra e Spagna, restringendo il discorso all’ultimo mezzo secolo, soltanto Telé Santana con il San Paolo campione sudamericano e del mondo è riuscito a livello di club a riscattare quello che in patria era stato interpretato come fallimento (ma non lo fu, né nel 1982 né tantomeno nel 1986).
Tornando all’Italia, bisogna ricordare la vera differenza fra Ventura e i suoi predecessori: l’età. È antipatico dirlo, ma la data di nascita non è un’opinione: Ventura ha chiuso la sua esperienza azzurra a 69 anni, Maldini a 66, Trapattoni a 65, Pozzo e Lippi a 62, Bearzot a 59, Zoff a 58, Vicini e Prandelli a 57, Valcareggi a 55, Sacchi a 50, Conte a 47, Donadoni e Fabbri a 45. Insomma, per Ventura record di longevità. E del resto Campdelli l’ha scelto proprio per la sua esperienza.
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