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Eugenio Fascetti, lo sconfitto dell'Ottantadue© LaPresse

Eugenio Fascetti, lo sconfitto dell'Ottantadue

L'allenatore viareggino compie 80 anni e può essere soddisfatto di una carriera in cui ha fatto bene in contesti molto diversi. Certo la grande panchina non gli è mai stata offerta, ma il tempismo non è mai stato il suo forte. Come quando attaccò Bearzot e fu l'unico a pagare per averlo fatto...

23 ottobre 2018

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Gli ottant’anni di Eugenio Fascetti sono il pretesto per gli auguri a un ottimo allenatore e a un uomo che ha pagato la sua sincerità con la mancanza di una vera grande occasione, in una carriera comunque invidiabile, con punte di eccellenza nel Varese di inizio anni Ottanta (quello del ‘casino organizzato’) dove direttore sportivo era un giovanissimo Marotta e preparatore atletico il professor Arcelli, nella Lazio della storica salvezza (in B) partendo ad handicap per il calcioscommesse, nel Lecce, nel Torino, nel Verona e nel Bari. Passata l’età per essere considerato un emergente, Fascetti è uscito di scena con classe.

Fra le tante situazioni che gli hanno impedito di salire almeno una volta sul treno giusto la più famosa è quella che lo vide criticare apertamente il calcio di Enzo Bearzot alla vigilia del Mondiale del 1982. Con il senno di poi non una grande idea, ma con quello di prima un sentimento condiviso da gran parte degli addetti ai lavori, che oltretutto attaccavano l’uomo Bearzot mentre Fascetti ce l’aveva con il suo modulo di gioco: “Mi vergogno di come Bearzot fa giocare l’Italia”.  Critiche espresse la partita con il Camerun, dure ma certo non offensive. Fatto sta che incredibilmente il 23 luglio, a Mondiale vinto da quasi due settimane, Fascetti fu deferito dalla Procura Federale che così diede il via a un caso grottesco. In pratica il trionfo di Madrid aveva portato all’amnistia per quasi tutti i condannati del calcioscommesse, ma nel mirino era entrato chi aveva osato esprimere una critica. Fatto sta che Fascetti fu addirittura squalificato e concluse quel campionato post-Mundial con l’esonero dalla panchina del Varese. Di sicuro quella vicenda pose su di lui un marchio. 

Il bello è che le sue idee calcistiche non erano troppo diverse da quelle di Bearzot, a partire dall’utilizzo di un libero capace di costruire gioco e della poca simpatia per il possesso palla sterile che già all’epoca affascinava quelli che oggi si chiamano storyteller. E così è nato il personaggio del Fascetti polemico e bastian contrario, quel tipo di toscano poco accomodante, un personaggio che lo ha perseguitato e limitato nonostante ci fosse da parlare di un allenatore molto avanti rispetto ai suoi tempi. Gli allenamenti differenziati, l’utilizzo dei test di Conconi, l’attenzione alla psicologia, la preferenza per i giocatori eclettici e pensanti invece che per i soldatini sono i punti cardine del fascettismo, che poteva tranquillamente convivere con il talento del Cassano della situazione. Peccato per il grande treno mai passato, ma anche se fosse passato magari non l’avrebbero fatto salire lo stesso.

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